"Inno al Relativismo", Un'angolo dove discutere in maniera alternativa

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Nardu
view post Posted on 29/11/2009, 12:42




La Logica a dire il vero è un concetto unico, nonostante la si possa definire con modi o parole diverse.
 
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Oompaloompa
view post Posted on 31/10/2010, 21:05




Ero in cerca di spunti, avevo fame di rivelazioni, e si sa chi cerca o trova o viene trovato.
Questo è un piccolo passo di un libro che francamente mi sta decisamente stupendo pagina dopo pagina, ne consiglio a tutti la lettura se davvero volete mettere alla prova qualsiasi tipo di vostra convinzione.
Ma per ora su tutte le pagine lette queste mi hanno riacceso quel lumicino che ancora non avevo spento in attesa appunto di incappare anche involontariamente in qualcosa di nuovo, per me almeno.
Attraverso le parole di questo scrittore forse sarò più chiaro, ecco il relativismo di cui avevo avuto folgorazione e per colpa della quale non riuscivo a trasmetterla.
Non voglio avere la presunzione di accostare il mio pensiero ad uno tanto articolato, ma fidatevi quando vi dico che l'intuizione che volevo condivedere era questa.

Buona lettura.



"Adesso traversiamo il Montana lungo la valle dello Yellowstone. Il paesaggio
varia dalla boscaglia del West ai campi di grano del Midwest, che si alternano a
seconda dell'irrigazione. Passiamo accanto a una pietra miliare su cui c'è una scritta
su Lewis e Clark. Uno di loro prese questa strada per fare un'esplorazione collaterale
nel COTSO della ricerca del Passaggio a Nord-Ovest.
Bello. Ottimo per il Chautauqua. Anche noi siamo su una specie di Passaggio a
Nord-Ovest. Attraversiamo altri campi e altre steppe e si fa tardi.
Ora voglio continuare l'inseguimento del fantasma della razionalità, questo
fantasma classico, noioso e complesso della forma soggiacente.
Stamattina ho parlato delle gerarchie del pensiero — del sistema. Adesso
parlerò dei metodi per aprirsi un varco attraverso queste gerarchie: parlerò della
logica.
Si usano due tipi di logica: la logica induttiva e la logica deduttiva. La prima
parte dall'osservazione della macchina per arrivare a conclusioni generali. Per
esempio: la moto supera una serie di cunette e ogni volta il motore perde colpi. Su un
tratto di strada liscio corre senza perdere colpi, poi supera un'altra cunetta e il motore
perde di nuovo colpi. Qui si può concludere logicamente che la perdita di colpi è
causata dalle cunette.
La deduzione segue il processo inverso, ovvero parte da un conoscenza
generale per prevedere un'osservazione specifica. Per esempio, se chi lavora sulla
moto ha letto la descrizione gerarchica della struttura della moto stessa e sa che il
clacson è alimentato esclusivamente dalla batteria, può dedurre logicamente che se la
batteria è scarica il clacson non funzionerà. Questa è una deduzione.
Certi problemi, troppo complicati per il senso comune, possono essere risolti
solo grazie a una lunga catena di ragionamenti, tanto induttivi che deduttivi, che
fanno la spola tra la macchina osservata e la gerarchia mentale della macchina
descritta nei manuali. L'uso corretto di questi ragionamenti è codificato dal metodo
scientifico.
A dire il vero non ho mai visto un problema di manutenzione della motocicletta
abbastanza complesso da richiedere un vero e proprio metodo scientifico formale. I
problemi di riparazione non sono tanto difficili. Quando penso al metodo scientifico
formale a volte mi si presenta alla mente l'immagine di un enorme bulldozer — lento,
tedioso, ingombrante, laborioso, ma invincibile. Ci vuole il doppio del tempo che non
applicando le tecniche empiriche di un meccanico, ma puoi star sicuro che alla fine ce
la farai.
Per seguire il metodo scientifico si tiene un quaderno di lavoro. Bisogna
scriverci tutto con precisione, in modo da avere sempre il quadro della situazione. A
volte basta annotare i problemi per chiarirsi le idee.
Gli enunciati logici da annotare sul quaderno sono da dividere in sei categorie:
1. Enunciato del problema. 2. Ipotesi sulle cause del problema. 3. Esperimenti
destinati a verificare ciascuna ipotesi. 4. Risultati probabili degli esperimenti. 5.
Risultati effettivi degli esperimenti. 6. Conclusioni sulla base dei risultati degli
esperimenti. Questa elaborazione non è diversa da quella delle esercitazioni di
laboratorio di molte scuole e università, ma qui lo scopo non è solo quello di fare
esercizi astratti. Lo scopo qui è di orientare il pensiero in modo preciso. Il vero scopo
del metodo scientifico è quello di accertare che la natura non ti abbia indotto a
credere di sapere quello che non sai. Non esiste un solo meccanico, scienziato o
tecnico che non sia stato soggetto a quest'illusione tanto da stare istintivamente in
guardia. È soprattutto per questo che i trattati scientifici e le istruzioni meccaniche
sembrano così noiosi e pedanti. Le negligenze e le fantasie romantiche in campo
scientifico fanno dei brutti scherzi, e la natura imbroglia già abbastanza da sola senza
che gliene diamo noi l'occasione. Alla prima deduzione falsa riguardo al motore, ci si
ritrova irrimediabilmente bloccati. Per quanto riguarda il punto 1 (Enunciato del
problema), l'abilità principale consiste nel non dire assolutamente più di quanto non si
sia sicuri di sapere. È molto meglio un'annotazione del tipo: «Problema: perché la
motocicletta non funziona?», che sembra poco furba ma è corretta, che scrivere:
«Problema: Cos'è che non va nell'impianto elettrico?» se non si è assolutamente sicuri
che il guasto sia nell'impianto elettrico. La cosa giusta da scrivere è: «Problema:
Cos'è che non va nella moto?» , e poi mettere al primo posto al punto 2: «Ipotesi
Numero 1: Il guasto è nell'impianto elettrico». Si pensa al maggior numero di ipotesi
possibile, poi si progettano gli esperimenti per verificarle e vedere quali sono vere e
quali sono false.
Questo cauto approccio alle domande iniziali vi impedirà di imboccare la
strada sbagliata risparmiandovi una settimana di lavoro o addirittura una impasse
totale. Spesso le domande scientifiche sembrano a tutta prima poco furbe proprio per
questa ragione, ma si formulano al fine di evitare errori poco furbi in seguito.
La sperimentazione (il punto 3) viene vista a volte dai romantici come la
scienza nel suo complesso, perché è la più appariscente: loro si immaginano un
mucchio di provette, attrezzature bizzarre e gente affaccendata a far scoperte. Non
vedono l'esperimento come parte di un più vasto processo intellettuale, e confondono
spesso esperimenti e dimostrazioni, i quali, in effetti, si somigliano. Uno scienziato
da baraccone che, con una attrezzatura alla Frankenstein, faccia sensazionali '
esperimenti scientifici ', sa in anticipo i risultati dei suoi tramestii e quindi non fa
affatto un lavoro scientifico. In compenso, un meccanico che suona il clacson della
moto per vedere se la batteria è carica, fa, in modo informale, un vero e proprio
esperimento scientifico, poiché verifica un'ipotesi facendo la domanda direttamente
alla natura. Lo scienziato televisivo che borbotta tristemente: «L'esperimento è un
fiasco; non siamo riusciti a ottenere quello che speravamo» è vittima di un copione
scadente. Un esperimento che non ottenga i risultati previsti non è un fiasco. Lo è
solo quando non fornisce alcuna conclusione valida, in un senso o nell'altro, rispetto
alle ipotesi di partenza.
A questo punto l'abilità sta nel valersi di esperimenti che verifichino solo le
ipotesi formulate, niente di meno e niente di più. Se il clacson suona, e il meccanico
conclude che tutto l'impianto elettrico funziona, trae una conclusione illogica. Il
suono del clacson dimostra solo che funzionano la batteria e il clacson. Per
programmare un esperimento in modo adeguato, il meccanico deve porsi, in modo
estremamente preciso, il problema delle cause: cioè di cosa provoca direttamente
qualcos'altro. E questo lo può stabilire in base alle gerarchie. È nelle candele che
l'impianto elettrico causa direttamente l'accensione del motore, e se non si fa una
verifica in quel punto non si potrà mai sapere veramente se il guasto è di origine
elettrica o no.
Per una verifica precisa il meccanico toglie le candele e le appoggia al motore
in modo da stabilire un contatto elettrico, preme la leva dell'avviamento e guarda la
candela in attesa di una scintilla azzurra. Se la scintilla non scocca, ci sono due
possibilità: a) c'è un guasto elettrico; oppure b) il suo esperimento è mal fatto. Un
meccanico esperto lo ripeterà ancora un paio di volte, verificherà i contatti e cercherà
in tutti i modi di far scoccare la scintilla. Se non ci riesce, arriverà alla conclusione
che a è corretto, cioè che c'è un guasto elettrico, e l'esperimento è concluso: egli ha
verificato la sua ipotesi.
Per quanto riguarda il punto finale, le conclusioni, l'abilità sta nel non
affermare più di quanto l'esperimento non abbia dimostrato. In questo caso, ad
esempio, esso non ha dimostrato che, una volta riparato l'impianto elettrico, la
motocicletta partirà. Ci può essere qualcos'altro che non funziona. Ma il meccanico sa
per certo che la motocicletta non funzionerà finché non funzioni l'impianto elettrico,
per cui formulerà la seguente domanda formale: «Problema: Cos'è che non va
nell'impianto elettrico?».
Poi formulerà delle ipotesi in base a questa domanda e le verificherà. Facendo
le domande giuste, scegliendo le verifiche giuste e traendo le giuste conclusioni il
meccanico si farà strada attraverso i vari gradi della gerarchia della motocicletta fin
quando non troverà la causa o le cause specifiche del guasto al motore, e poi le
sopprimerà in modo che non causino più il guasto.
Un osservatore inesperto vedrà solo il lavoro fisico, ma questo non è che
l'aspetto più banale. La parte di gran lunga più impegnativa è l'attenta osservazione e
il rigore operativo. Questo è il motivo per cui i meccanici al lavoro hanno un'aria così
scostante: non vogliono essere distratti perché si stanno concentrando su immagini
mentali, su gerarchie, e non sulla motocicletta nella sua materialità. Stanno usando gli
esperimenti per allargare la gerarchia della loro conoscenza della motocicletta guasta
e paragonarla alla gerarchia corretta che hanno in testa. Stanno guardando la forma
soggiacente.
Ci viene incontro una macchina con roulotte, sta sorpassando e fa fatica a
rientrare nella sua corsia. Per sicurezza lampeggio. Ci vede ma non riesce a rientrare.
La banchina di fianco alla strada è stretta e sconnessa, se la imbocchiamo caschiamo
dalla moto. Freno, strombazzo, lampeggio. Cristo santissimo, quello perde la testa e
punta dritto su di noi! Sto appiccicato al bordo della strada. CI SIAMO! All'ultimo
momento rientra e ci manca per un pelo.
Ora comincio a tremare per lo spavento. Se fossimo stati in macchina sarebbe
stato uno scontro frontale. O una caduta nel fosso.
Ci fermiamo in un paese che potrebbe essere nel bel mezzo dello Iowa. Il grano
cresce alto e nell'aria c'è un odore greve di concime. Lasciamo giù le moto e entriamo
in un vecchio, enorme locale coi soffitti alti. Questa volta insieme alla birra ordino
tutto quello che hanno da mangiare, e ci portano noccioline, pop corn, biscotti salati,
patatine, acciughe sotto sale, pesce secco affumicato, salsicciotti, peperoni, patè di
prosciutto, cotiche di maiale fritte e crackers al sesamo con un sapore in più — ma
non riesco a capire che cos'è.
10
Il cielo rimpicciolisce tra le ripide scarpate ai due lati del fiume. La valle si
stringe man mano che ci avviciniamo alla sorgente.
Anche i miei pensieri si stanno avvicinando sempre più alla loro sorgente, al
punto cruciale in cui posso almeno incominciare a parlare di quando Fedro si
allontanò dalla corrente tradizionale del pensiero razionale per inseguire il fantasma
della razionalità stessa.
C'è un passo che egli aveva letto e ripetuto a memoria tante volte che
sopravvive ancora intatto. Comincia così: «Nel tempio della scienza ci sono molte
dimore... e diversi davvero sono coloro che le abitano e i motivi che ve li hanno
condotti.
«Molti cercano nella scienza l'esaltante sensazione di superiore capacità
intellettuale; la scienza è lo sport da cui trarre un'esperienza vivida e il
soddisfacimento delle ambizioni; nel tempio ci saranno anche i molti che hanno
immolato i prodotti del loro cervello a fini puramente utilitaristici. Se venisse un
angelo del Signore a cacciare tutta la gente che appartiene a queste due categorie, il
tempio si svuoterebbe di molti fedeli, ma qualcuno rimarrebbe: uomini sia dell'epoca
presente sia di quella passata... Se le categorie che abbiamo appena espulso fossero le
sole a popolare quel luogo, il tempio non sarebbe mai esistito, così come non può
esistere un bosco fatto di soli rampicanti. Coloro che troveranno favore presso
l'angelo [...] sono tipi insoliti, poco comunicativi, solitari, in realtà molto meno simili
tra loro degli appartenenti alla schiera dei cacciati.
«Quel che li ha portati al tempio [...] non c'è un'unica risposta per spiegarlo, [...]
l'evasione dalla vita quotidiana, dalla sua penosa crudezza, da una disperata
monotonia, la fuga dalla schiavitù dei propri desideri. Una natura nobile desidera con
tutte le sue forze di sfuggire al suo ambiente affollato e rumoroso per rifugiarsi nel
silenzio delle vette più alte, dove l'occhio spazia liberamente nell'aria ancora pura e
segue con sguardo amorevole i placidi contorni che paiono costruiti per l'eternità».
Il passo è preso da un discorso pronunciato nel 1918 da un giovane scienziato
tedesco di nome Albert Einstein.
A quindici anni Fedro aveva già terminato il suo primo anno di studi superiori.
Aveva scelto la biochimica, e intendeva specializzarsi nel campo ora noto come
biologia molecolare, che è il punto d'incontro tra il mondo organico e quello
inorganico. Non lo faceva ai fini della carriera. Era molto giovane e tutto questo
rappresentava un nobile ideale.
«Lo stato mentale che permette a un uomo di fare un lavoro del genere è quello
del credente o dell'amante. Lo sforzo quotidiano non è sostenuto da un'intenzione o
da un programma prestabilito, ma sgorga dritto dal cuore».
Se Fedro si fosse dedicato alla scienza per ambizione o per scopi utilitaristici
forse non gli sarebbe mai venuto in mente di porsi delle domande sulla natura di
un'ipotesi scientifica in quanto entità a sé stante. Invece lo fece, e non rimase
soddisfatto delle risposte.
La formulazione delle ipotesi è la più misteriosa di tutte le categorie del
metodo scientifico. Nessuno sa da dove vengano. Uno se ne sta lì seduto e
all'improvviso ha come una folgorazione. Ma finché non è verificata, l'ipotesi non è
verità, perché la sua origine non sono gli esperimenti. La sua origine è altrove.
Einstein aveva detto:
«L'uomo cerca di fabbricare, a suo uso e consumo, un quadro del mondo
semplificato e intelligibile. Poi cerca di sostituire questo suo cosmo al mondo
dell'esperienza, per riuscire così a sopraffarlo. [...] Egli fa di questo cosmo e delle sue
costruzioni il cardine della sua vita emotiva per trovare così la pace e la serenità che
gli sono negate dal vortice angusto dell'esperienza personale... Il fine ultimo [...] è
arrivare a quelle leggi universali ed elementari a partire dalle quali si può costruire il
cosmo per pura deduzione. Non c'è un cammino logico che conduca a queste leggi; le
può raggiungere soltanto l'intuizione, sorretta da una intelligenza del mondo in
profonda risonanza con l'esperienza...».
Intuizione? Profonda risonanza? che parole strane per definire l'origine del
sapere scientifico!
Uno scienziato meno grande di Einstein avrebbe potuto dire: «Ma il sapere
scientifico viene dalla natura. È la natura che fornisce le ipotesi». Ma Einstein
sapeva che non è così. La natura fornisce solo dati sperimentali.
Una mente meno grande avrebbe potuto obiettare: «Be', allora è l'uomo che
fornisce le ipotesi». Ma Einstein negò anche questo. Egli disse: «Nessuno di coloro
che si siano addentrati a fondo nella materia potrà negare che in pratica solo il mondo
dei fenomeni determina il sistema teorico, a dispetto del fatto che non esiste alcun
collegamento teorico tra i fenomeni e i loro principi teorici».
Il mutamento si verificò in Fedro quando, in seguito alla sua esperienza di
laboratorio, incominciò a interessarsi alle ipotesi in quanto entità a se stanti. Aveva
avuto più volte occasione di notare che la formulazione delle ipotesi, che potrebbe
sembrare la parte più difficile del lavoro scientifico, era invariabilmente la più facile.
L'atto stesso di annotare ordinatamente tutti gli elementi sembrava suggerirle di per
sé. Mentre verificava l'ipotesi numero uno col metodo sperimentale gli veniva in
mente un'altra fiumana di ipotesi, e così verificando queste ultime. Alla fine gli parve
fin troppo evidente che, col proseguire delle verifiche, il numero delle ipotesi non
diminuiva, anzi andava via via aumentando.
All'inizio Fedro trovò la cosa divertente e formulò persino una legge nello
spirito di quella di Parkinson: «Il numero delle ipotesi razionali che possono spiegare
un fenomeno dato è infinito». Gli faceva piacere non essere mai a corto di ipotesi.
Anche quando il suo lavoro sperimentale sembrava giunto a un punto morto, Fedro
sapeva che se si fosse messo a tavolino, sarebbe emersa un'altra ipotesi. E così era. Fu
solo alcuni mesi dopo aver formulato la legge che incominciò a domandarsi se fosse
poi davvero una gran trovata e soprattutto quali benefici se ne potessero trarre.
Se la legge è vera, si tratta di una pecca non da poco, nella struttura del
ragionamento scientifico. È una legge assolutamente nichilista, annientatrice, una
catastrofica confutazione logica della validità generale di tutto il metodo scientifico!
Se lo scopo del metodo scientifico è scegliere tra una moltitudine di ipotesi, e
se il numero delle ipotesi cresce troppo in fretta in rapporto alle possibilità del
metodo sperimentale, è evidente che verificarle tutte è impossibile, e quindi qualsiasi
esperimento darà risultati incompleti e l'intero metodo scientifico verrà meno al suo
fine di stabilire un sapere dimostrato.
A questo proposito Einstein aveva detto: «L'evoluzione ha provato che, in ogni
momento dato, tra tutti i costrutti concepibili uno solo si è sempre dimostrato
assolutamente superiore agli altri» , senza dare ulteriori spiegazioni. Ma per Fedro
questa era una risposta incredibilmente fiacca. L'espressione «in ogni momento» lo
lasciava di sasso. Einstein voleva davvero affermare che la verità è una funzione del
tempo? Affermare una cosa simile significava distruggere i fondamenti stessi della
scienza!
Ma eccola lì, l'intera storia della scienza: una nitida storia di spiegazioni
sempre nuove e mutevoli di fatti vecchi. La continuità nel tempo di queste
spiegazioni sembrava del tutto casuale. La verità scientifica non era un dogma valido
per l'eternità, ma una entità quantitativa temporale che poteva essere studiata come un
qualsiasi fenomeno.
Fedro studiò le verità scientifiche e rimase ancora più sconvolto da quella che
pareva la causa della loro caducità. Sembrava che la longevità delle verità scientifiche
fosse inversamente proporzionale all'intensità dello sforzo scientifico: le verità
scientifiche del ventesimo secolo, a quanto pare, durano molto meno di quelle del
secolo scorso, perché l'attività scientifica ora è molto maggiore. Se nel corso del
prossimo secolo essa sarà decuplicata, si può prevedere che la durata di qualsiasi
verità scientifica sarà un decimo di quella attuale. Quello che abbrevia la vita di una
verità scientifica è la quantità delle ipotesi offerte per rimpiazzarla, e la causa della
crescita del numero delle ipotesi negli anni più recenti è, a quanto sembra, il metodo
scientifico stesso. Invece di scegliere una verità tra molte, non si fa che accrescere la
rosa. E dal punto di vista logico questo significa che mentre cerchiamo di progredire
verso la verità immutabile grazie all'applicazione del metodo scientifico, in realtà non
andiamo affatto nella sua direzione.
Quello che Fedro osservò personalmente è un fenomeno caratteristico della
storia della scienza che era nel dimenticatoio da anni. Che i risultati previsti della
ricerca scientifica e quelli ottenuti dalla medesima siano diametralmente opposti
sembra passare del tutto inosservato. Lo scopo del metodo scientifico è scegliere una
singola verità fra molte verità ipotetiche. Invece, moltiplicando i fatti, le informazioni,
le teorie e le ipotesi, la scienza stessa conduce l'umanità, da singole verità assolute, a
verità relative, molteplici e indeterminate e diventa la causa principale del caos
sociale, dell'indeterminatezza, della confusione del pensiero e dei valori che una
conoscenza razionale dovrebbe avere il compito di eliminare. E quello che Fedro
scoprì anni fa nell'isolamento del suo laboratorio è ora universalmente riconosciuto
nel mondo tecnologico contemporaneo. L'antiscientifico prodotto scientificamente —
il caos.
Adesso posso fare un passo indietro e spiegare perché è importante dare a
Fedro una collocazione rispetto alla divisione tra realtà classica e realtà romantica. A
differenza degli innumerevoli romantici, che si lasciano turbare dai cambiamenti
caotici che la scienza e la tecnologia impongono allo spirito umano e non sanno
offrire soluzioni, Fedro, con la sua mente classica educata al metodo scientifico, era
in grado di fare qualcosa di più.
La causa delle nostre crisi sociali attuali, avrebbe detto Fedro, è da ricercarsi in
un'aberrazione genetica insita nella natura stessa della ragione. La razionalità di cui ci
valiamo al giorno d'oggi non fa avanzare affatto la società verso un mondo migliore;
essa è all'opera fin dal rinascimento e lo sarà finché il bisogno di cibo, di abiti e di un
tetto sarà predominante. Ma adesso che per vaste masse di persone questi bisogni non
sopraffanno più tutti gli altri essa non è più adeguata. Incomincia a rivelarsi per
quello che è in realtà — emotivamente superficiale, esteticamente insensata e
spiritualmente vuota.
Ho la visione di una crisi sociale furibonda e ininterrotta di cui nessuno
intuisce la vera portata, né tanto meno le soluzioni. Vedo persone come John e Sylvia
che vivono sperdute e alienate rispetto all'intera struttura razionale della vita civile,
che cercano soluzioni fuori da quella struttura senza trovarne una sola che le soddisfi
a lungo. E poi vedo Fedro perso nelle sue astrazioni solitarie, nell'isolamento del
laboratorio — un Fedro alle prese con la stessa crisi, ma che parte da un altro punto
di vista, e va nella direzione opposta. E ora tento di trovare una mediazione. È un
problema così colossale che a volte sembra che divaghi.
Nessuno degli interlocutori di Fedro sembrava davvero coinvolto dal problema
che lo lasciava tanto perplesso. «Sappiamo che il metodo scientifico è valido, quindi
a che pro indagare sull'argomento?» sembravano dire. Fedro non capiva il loro
atteggiamento, non sapeva come reagire, e dato che non si era consacrato alla scienza
per motivi personali o utilitaristici, rimase bloccato. Era come se, mentre
contemplava quel sereno paesaggio montano descritto da Einstein, si fosse aperta
improvvisamente tra le montagne una crepa, un baratro di puro niente. E lentamente,
e dolorosamente, per spiegare questo baratro, egli dovette ammettere che quelle
montagne, apparentemente costruite per l'eternità, magari erano qualcosa d'altro...
solo frammenti della sua immaginazione, forse.
E così Fedro, che all'età di quindici anni aveva terminato il suo primo anno di
studi scientifici superiori, a diciassette fu espulso dall'università per voti insufficienti.
Ragioni ufficiali: immaturità e scarsa applicazione.
Nessuno poteva impedire o modificare una decisione del genere. L'università
non poteva accettare Fedro, se non a costo di cambiare completamente il proprio
sistema di valori.
Disorientato, Fedro ebbe una lunga serie di sbandamenti che lo immisero in
un'orbita mentale remotissima, ma alla fine, per la via che ora stiamo seguendo, tornò
alla porta dell'università. Domani cercherò di ripercorrere quella via.
A Laurei, finalmente in vista delle montagne, ci fermiamo per la notte. Ora la
brezza è fresca. Viene dalla neve.
Sylvia, John, Chris e io passeggiamo per la lunga strada principale nel
crepuscolo che si addensa e sentiamo la presenza dei monti anche se parliamo d'altro.
Sono insieme contento e triste di essere qui. A volte è quasi meglio viaggiare che
arrivare."

da "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" Pirsig
 
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31 replies since 17/11/2009, 17:36   372 views
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