| Passi notturni nell’ombra silenziosa, attendevo … nel rifugio sicuro all’interno della stanza, nel mio angolo isolato, osservavo. Un raggio di luna penetrava tremulo e soffice nell’opprimente cupezza. Un isolato spiraglio di luce, ricadeva in un preciso punto, un voluto punto. I miei occhi vi si posarono con affetto: due lame, un’unica essenza.
Un piedistallo in cristallo, ricoperto di candido vello, presiedeva allo spettacolo. Due lame, un’unica essenza. Un’unica realtà: un’arma perfetta.
La porta in metallo cigolò, la luce tremò, i miei occhi fuggirono e la Vera Ombra si manifestò. Passi come notte, un’ombra tra ombre. Un morto tra i vivi, un vivo tra i morti. La mia arma stava portando a termine ciò per cui era stata convocata.
L’assassina si mosse verso il centro della stanza, ignorandomi. Il mio rifugio, il mio antro, mi proteggeva. Il mantello dell’oscurità l’avvolgeva, delineandola. I miei occhi vitrei la scrutarono. Seguirono il suo volteggiare nell’aria senza spostarla. Ricami argentei piangevano di luce propria lungo la base della veste, come fanciulli dal volto rigato da lacrime innocenti.
La mano della giovane si protese innanzi. La mia mente urlò! I ricordi accorsero con impeto e foga. Quanto avevo desiderato quel momento? Una vita infinita. Secoli di tradizioni, studi e ricerche sulla magia per creare l’arma perfetta per l’assassino perfetto. Sognavo un mondo sotto il mio controllo, al giogo dell’assassino indomabile. Ogni essere vivente avrebbe temuto la mia parola, sarei stato il giudice supremo, il padrone della morte. Quel momento era giunto.
Le dita sfiorarono il nastro viola e nero che ricopriva l’impugnatura congiunta. Un teschio ebano e dai lineamenti d’oro fungeva d’elsa alla liscia lama adamantina, ricoperta di venature azzurre, a tratti intense e a tratti sfocate. Osservare l’arma di destra era come guardare un soffice nastro teso, malleabile ma affilato. La testa di un lupo mordeva con canini d’argento l’elsa della lama di sinistra. Occhi di rubino come gocce di porpora. Una lunga lingua, biforcuta nell’estremità e ruvida come la roccia di una scogliera, si protendeva con superiorità affamata di dolore.
Vidi la mano stringersi con forza sul velluto. Le lame sorelle levarsi nell’ombra. Un sommesso sogghigno nel silenzio opprimente. Capii: i miei sogni furono. Ero defunto.
Isilme abbandonò la roccaforte del mago che l’aveva corteggiata, lusingata e che le aveva fatto dono di oggetti meravigliosi. Con gratitudine aveva stroncato la sua vita, usando l’arma da egli tanto aveva agognato. Il sogno dell’uomo si sarebbe realizzato: un assassino avrebbe terrorizzato il mondo. Un nuovo sogghigno si fece largo tra le labbra serrate.
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