Israfil, Ideata da Israfil e Taffy -- Tratta dal form DarKillerS

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Nardu
view post Posted on 19/4/2006, 19:34




La luna piena rischiarava l’intera vallata e dal tetto dell’alto edificio su cui stavo la vista era magnifica, rimasi ad ammirare lo splendido paesaggio per qualche secondo.
Era primavera e una fresca brezza faceva danzare i fili d’erba delle colline intorno a Giran come fossero piccole onde che s’infrangono sulla sabbia. Sulle colline brillavano poche luci dei fuochi accesi per riscaldare i capanni dei contadini e un silenzio surreale dominava la città che a quell’ora tarda della notte ormai dormiva.
Il silenzio venne rotto da alcuni schiamazzi, abbassai lo sguardo e vidi tre figure che avanzavano lungo la strada sassosa, deserta e silenziosa.
Essendo un elfo oscuro la mia vista notturna era ben sviluppata e anche se i tre distavano quasi duecento metri dalla mia posizione riconobbi il mio obiettivo.
Revan era un nobile elfo oscuro che aveva abbandonato la retta via disobbedendo all’ordine tassativo, impartito dal mio signore Dekath, di non stringere alleanze con le razze inferiori; fuggito dalla cittadella per evitare la pena di morte si era rifugiato a Giran per tramare contro la nostra casata alleandosi con orchi e umani.
Avanzava barcollando ubriaco scortato da due guardie del corpo: due stupidi orchi.
Li lasciai avvicinare, sapevo che erano diretti alla residenza di Revan e per arrivarci sarebbero dovuti svoltare nella viuzza stretta e buia che si trovava sotto di me.
Aspettai che voltassero l’angolo e li lascia allontanare qualche metro poi, saltai dal tetto fin giù alla strada e toccai terra senza emettere alcun rumore.
Mi inginocchiai, presi il mio arco elfico, infilai la freccia nella corda e la tesi:”è una bella notte per morire” mormorai tra me, poi scoccai la freccia. Un istante dopo il primo orco crollò a terra con una freccia nel collo. Il secondo, dopo aver sentito il tonfo causato dal compagno cadendo, si voltò di scatto nella mia direzione ma non vide nulla perché una seconda freccia gli trapassò la testa all’altezza dell’occhio destro facendolo cadere all‘indietro. Nessuno dei due aveva emesso un gemito e l’ignaro elfo ubriaco continuava ad avanzare barcollante per la sua strada. Riposi l‘arco, seppur Revan ci avesse traditi e avesse infangato il buon nome della nostra casata meritava una morte più onorevole.
Inizia a correre per avvicinarmi alle sue spalle, i miei passi veloci e leggeri sfioravano appena il terreno emettendo solo un fruscio.
In pochi secondi fui dietro alla mia preda, estrassi la daga e feci partire un fendente. La velocità con cui la daga penetrò l’aria fece brillare la lama che poi si conficcò nella carne del mal capitato lacerandogli mortalmente gli organi interni. Estrassi la lama dalla sua schiena facendo schizzare sangue ovunque e la feci ruotare nella mia mano, con un movimento sincronizzato gli afferrai i bianchi capelli tirandoli verso di me per lasciargli il collo esposto al mio secondo colpo e feci scorrere la mia lama tagliente sulla sua gola sgozzandolo. Mentre la mia vittima cercava invano di divincolarsi dalla mia presa lo adagiai lentamente a terra sussurrandogli:”Questo è il prezzo per il tuo tradimento, adesso riposa, è tutto finito”.
Il corpo del nobile si accasciò a terra formando sul terreno una pozza di sangue, un‘altra vita era stata spezzata, la bianca luna piena sembrava assistere in silenzio alla scena.
Osservai la mia daga, era sporca di sangue ma sentivo che la sua sete di anime per quella notte era stata saziata.
Mi inginocchia accanto al cadavere di Revan, afferrai il suo ciondolo con impresso lo stemma della nostra casata e glielo sfilai dal collo poi, strappai un pezzo della sua veste per ripulire la lama della mia daga prima che il sangue si seccasse:”è la mia quinta vittima in dieci giorni, Dekath sta esagerando” pensai, mi rialzai e mi incamminai verso casa.

Arrivai alla dimora di Dekath che ormai albeggiava ma sapevo già che il mio padrone mi stava attendendo impaziente: da lontano avevo visto che il fuoco del camino nella sua stanza era ancora acceso.
Entrai nella sala del trono e come mi aspettavo lo trovai seduto sul suo trono dinanzi al camino, mi inginocchiai e dissi:”Mio signore, il lavoro è stato compiuto, ecco il suo sigillo come prova”. Dekath non disse una parola ma si leggeva chiaramente nel suo sguardo la soddisfazione per essersi tolto di mezzo una spina nel fianco, mi fece segno di andare.

Dopo la morte di mio padre nella battaglia di Albion e di quella di mia madre, trovata impiccata dopo aver appreso la notizia dell‘esito della battaglia, mio zio Dekath era divenuto il mio tutore e i nostri legami si erano fatti ancor più stretti da quando suo figlio Valnir aveva dimostrato di essere un disonore per la nostra casata non impegnandosi a fondo nell‘apprendere l‘arte del guerriero Shilen.

Entrai nei miei alloggi, mi versai del Sakè e presi un po’ di erba pipa, un’usanza di noi assassini che, dopo un omicidio, ci rilassavamo fumando e bevendo per svuotare la mente da ogni rimorso e riassumere così il controllo di noi stessi.
Finita la meditazione estrassi la daga, presi della pietra pomice ed inizia ad affilarla. Mentre l’affilavo mi vennero in mente ricordi legati ad essa: il giorno in cui mio padre me la donò e mi disse:”Adaman, il tuo destino è quello di diventare un nobile assassino, ancora lungo è il tuo cammino e duri saranno i giorni in cui dovrai apprendere ogni segreto di quest‘arte ma questa daga ti sarà sempre fedele e ti aiuterà in ogni situazione, abbine cura come fosse tua sorella“.
Finita l’affilatura ripresi la meditazione e caddi in trans.

Era ormai mezzogiorno quando qualcuno bussò alla porta, restai in ginocchio per terra con gli occhi chiusi e chiesi chi era, un infante mi comunicò che ero stato convocato da Dekath.
Mi alzai, indossai l’armatura, misi la daga nel fodero e andai nella sala del trono per incontrare il mio padrone.
Quando entrai nella sala Dekath era lì seduto sul suo trono ad aspettarmi, mi inginocchiai dinanzi a lui e dissi:”Notizie di Valnir dall’accademia mio signore?” “No” fu la sua fredda e secca risposta: era sciocco credere che Valnir fosse davvero all’accademia militare pensai, conoscevo troppo bene mio cugino e a quest’ora sicuramente stava già iniziando ad apprendere incantesimi sempre più potenti al tempio di Shilen, ne ero sicuro, sapevo della sua vocazione per le arti di magia oscure.
“Nuovi ordini mio signore?” “Nulla di difficile oggi, vedrai che ti divertirai, vai a Gludio da Badeck, è un vecchio elfo oscuro che non ha pagato la tassa che esigo mensilmente da ogni mercante, uccidilo davanti a tutti, deve servire da lezione” “Ma mio signore, la mia arte è sprecata contro un semplice mercante, non desidero sporcarmi le mani con un simile gesto” “Osi forse contraddire i miei ordini? Quell’uomo va ucciso per dimostrare che nessuno può mancarmi di rispetto e voglio che sia tu a farlo, nella piazza centrale, non ti devo altre spiegazioni” “Se è questo che il mio padrone desidera sarà fatto”.
Non riuscivo a comprendere quell’ordine, sarebbe bastato un semplice guerriero per eseguirlo, forse Dekath voleva che gli dimostrassi la mia fedeltà.

Oltrepassai la palude a sud ovest della cittadella per poi dirigermi verso sud attraverso le verdi colline in fiore della provincia di Gludio “Che disonore sporcarsi le mani così, io, nobile assassino con vent’anni di addestramento alle spalle costretto ad infangare la mia reputazione con un’esecuzione in piazza, alla luce del sole, spero che Dekath sappia quello che sta facendo” pensai.
Arrivai a Gludio che il sole stava ormai a tre quarti del suo percorso, era tardo pomeriggio e il centro cittadino era affollato da contadini che vendevano i frutti raccolti durante il giorno nei campi.
“Ecco è quella la casa” mormorai tra me e mi diressi verso la porta di legno. Con un calcio la sfondai ed entrai nel soggiorno dove Badeck sedeva comodo su una poltrona sorseggiando idromele.
“Tu sei Adaman, l’oscuro assassino! Cosa potresti mai volere da me che sono solo un povero vecchio?”.
Mi avvicinai a lui, lo presi per il collo, lo sollevai dalla poltrona e dissi:”Mi manda Dekath, non lo hai pagato, ora mi prenderò la tua vita come pegno ma non è questo il luogo, ti porterò in piazza dove tutti possano vederti”. Il poveretto mentre faticava a respirare per la mia presa arrancò qualche parola ma non diedi peso ai suoi lamenti e lo trascinai fuori.
In piazza tutti si voltarono per vedere cosa stesse accadendo, alcuni contadini raccolsero la propria merce e fuggirono mentre altri rimasero paralizzati per la paura.
“Questo mascalzone non ha pagato la tassa per il commercio al mio signore Dekath, ecco come noi trattiamo chi osa rubare alla nostra casata!” urlai alla folla.
Estrassi la daga e mi preparai a colpirlo in pieno addome per sventralo quando sentii qualcuno avvicinarsi velocemente alle mie spalle. Tesi l’orecchio e sentii l’aria spostarsi, un colpo stava per arrivare alla mia destra, rapido mi piegai e lo schivai. Scaraventai il vecchio a terra e mi voltai assumendo una posizione di difesa, era una giovane elfa ad aver tentato di colpirmi con una padella.
“Maledetto sia colui che osa mettersi tra me e la mia preda! Pagherai per questo affronto!” urlai alla giovane ragazza ma lei lasciò cadere a terra la padella e si inginocchiò piangendo supplicandomi di risparmiare suo padre. Passato il momento di ira osservai bene la ragazza, era bellissima, il suo viso aveva un’espressione dolce seppur alcune ciocche di capelli le ricadessero sulla fronte coprendole parzialmente gli occhi, lunghi capelli bianchi le ricadevano sulle spalle, i suoi seni prosperosi e sodi sembravano scolpiti nel marmo accentuati dal suo fisico magro e slanciato: era la più bella fanciulla che avessi mai visto.
Non so se furono le suppliche di quella creatura stupenda o la vergogna per il gesto che stavo compiendo ma riposi la daga e dissi:”Vattene, tu e tuo padre non siete più al sicuro qui, fuggite lontani dove nessuno possa narrare della vostra esistenza, con il mio padrone me la vedrò io”.
La ragazza si alzò da terra, si asciugò le lacrime e aiutò il padre a rialzarsi poi si avvicino a me e mi sussurrò all’orecchio:”Grazie per il tuo nobile gesto, so che per voi assassini è un atto di infinita carità risparmiare una vostra vittima, me ne ricorderò per sempre”. Restai immobile senza dire una parola, la ragazza mi baciò sulla guancia e si voltò di scatto per correre dal padre ed aiutarlo a tornare a casa.
“Dimmi il tuo nome prima di andartene”, la ragazza si voltò verso di me e sorridendomi mi rispose:”Aeran”; non dimenticai mai quel nome.

Tornai alla cittadella ma ancora non sapevo cosa avrei potuto dire a Dekath, temevo che la sua punizione sarebbe stata molto dura.
“Ben tornato Adaman, spero che tu abbia portato a termine i tuoi compiti senza troppe complicazioni” mi inginocchia di fronte al mio signore e risposi:”Mi perdoni padrone, non sono stato in grado di soddisfare le sue rischieste”.
Lo sguardo di Dekath si fece cupo e severo, raccontai come si era svolta la vicenda mentre lui ascoltò in silenzio senza far trapelare la minima emozione, poi finito il racconto disse:”Adaman, mi hai profondamente deluso, hai servito bene la tua casata fino ad oggi e quindi sarò clemente con te risparmiandoti la vita ma ormai non sei più degno di essere un assassino. Io ti ripudio come nipote, sarai marchiato come traditore e condannato all’esilio, se mai ti riavvicinerai alla cittadella verrai ucciso da me personalmente”.
Non riuscivo a credere a quelle parole, io, il miglior assassino della casata marchiato come traditore e condannato all’esilio, al mondo non esisteva disonore più grande, sarebbe stata meglio la morte.
Dekath chiamò le guardie che mi scortarono in una cella nei sotterranei. Venni legato e bendato mentre un carceriere scaldava un ferro sul fuoco, poco dopo sentii la mia carne bruciare e per il dolore svenni.
Mi risvegliai la mattina seguente disteso nel fango in mezzo alla palude, indossavo solo degli stracci e sul petto avevo incisa la scritta “Uomo senza onore né patria”, al mio fianco vi era una sacca con dei vestiti, qualche migliaio di adena, una pergamena e la mia daga. Srotolai la pergamena chiusa con il sigillo di Dekath e lessi:”Hai disonorato me, la nostra casata, il tuo rango e il tuo nome disobbedendo ai miei ordini. Mai più varcherai i confini della cittadella o sarai torturato e poi ucciso dalle stesse mani che ti hanno cresciuto. Non sei più un assassino, da oggi sei solo un esiliato, feccia che non merita di portare il nome che ti fu assegnato da tuo padre, Adaman era il nome di tuo nonno caduto gloriosamente in guerra, d’ora in poi sarai Israfil, colui che porta la morte nel sangue, colui che vagherà per anni o forse secoli finché la morte ucciderà il tuo corpo e il disonore che ti porti appresso. Che la tua anima sia maledetta, potevi avere gloria e onore ma hai deciso di rinunciare a tutto ciò solo per degli stupidi moralismi estranei alla tua razza. Ti lascio dei soldi affinché tu non muoia di fame, la tua daga e il tuo arco per poterti difendere dalle belve feroci e da coloro che tenteranno di ucciderti sapendo del tuo passato, addio”.
Mi rialzai da terra, mi ripulii dal fango che mi imbrattava il viso, cambiai le vesti con quelle pulite che avevo trovato nella sacca, mi misi l’arco in spalla e mi legai il fodero della daga alla vita con un laccio.
Il mio passato era stato cancellato, non ero più io, non sapevo cosa sarei diventato, sapevo solo che il mio futuro sarebbe stato diverso da quello che avevo sempre immaginato.
Guardai il sole, era più o meno mezzogiorno, mi voltai verso sud e mi incamminai, destinazione: l’ignoto.
 
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