Gil-Galad, Il BG, pensato molto tempo fa, di 2 personaggi che non presero mai vita

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Nardu
view post Posted on 19/4/2006, 21:26




Gil-Galad.

Capitolo primo.

Molti secoli fa, quando gli Elfi Maledetti iniziarono la guerra contro gli elfi che abitavano le foreste in superficie, fu creata un’armata.
I cosiddetti Drow attaccavano e depredavano i villaggi elfici mettendo a dura prova le difese di quest’ultimi; fu così che gli Anziani decisero che per combattere questa minaccia si sarebbe dovuto creare un ordine: la Gil-Galad, l’Armata Bianca (nn fate caso al nome ke mi suonava troppo bene e nn ho potuto fare a meno di metterlo anche se in realtà è il nome di un elfo del Signore degli Anelli e significa Stella Luminosa se nn ricordo male :P).

Quest’Ordine era composto da pochissimi valorosi elfi guerrieri e avrebbe fatto tremare i nemici della stirpe elfica al solo pensiero.
In totale l’Armata era composta da cinquanta guerrieri: quarantacique dei Cinquanta erano suddivisi ugualmente tra Arcieri, Guerrieri e Maghi; mentre i rimanenti cinque erano il valorosissimo comandante della Gil-Galad e quattro Guaritori.

Il Comandante fu selezionato tra tutti i più grandi condottieri elfici, non si sa il suo vero nome perché lo abbandonò prendendo il nome di Veneh (sofferente) con cui fu sempre ricordato.

I Guaritori furono inviati dalle divinità, nessuno ne conosce l’origine o il nome visto che mai si udì una loro parola, nonostante ciò riuscivano a proteggere un esercito anche presi singolarmente.

I Maghi provenivano tutti dall’Ordine Reale, cioè l’insieme degli Elfi scelti per proteggere il sovrano. Erano quindici, cinque da parte di ognuno dei Sovrani Elfici, che ne se privarono per fornire la Gil-Galad dei maghi più potenti del mondo in superficie.

I Guerrieri ero i secolari guardiani del tempio, nessun corpo militare di nessuna razza poteva vantare una simile arma bellica, erano l’orgoglio dell’Esercito delle Foglie. Essi erano selezionati tra i più valorosi guerrieri venendo sottoposti ad un durissimo esame di ammissione, quelli che lo passavano affrontavano un addestramento senza pari che condannava la maggior parte dei partecipanti. I pochissimi che portavano a termine l’addestramento venivano privati di lingua e degli occhi: divenivano così i silenziosi guardiani del tempio che vedevano solo nel cuore di coloro che avevano di fronte, pronti a sopportare ogni sofferenza per il loro popolo e il loro dio e addestrati a colpire senza pietà gli ingiusti.

Gli Arcieri erano selezionati con una dura prova che consisteva nel colpire un bersaglio grande come una noce, in movimento, da cinquecento piedi di distanza con un unico lancio esattamente al centro. Per quanto possa essere banale fu difficile trovare i Quindici che dovevano completare l’Armata. Questi furono addestrati a muoversi agilmente soprattutto con estenuanti cacce a mostri delle foreste nel cuore della notte durante le quali se si commetteva un errore facendo trapelare la propria presenza si pagava con la vita.

Gli Arcieri Silenti.

Capitolo secondo.

Il mio nome è Nardu, Fiamma della Notte, discendente da una famiglia di Arcieri Silenti. Io, con mio fratello Durlach, secondo la tradizione della nostra famiglia, difendevo i Regni delle Foreste muovendomi nel silenzio, occultandomi alla vista e uccidendo gli invasori con dardi letali scagliati dal mio arco.

Sia io che Durlach ci sottoponemmo all’esame per entrar a far parte della Gil-Galad e tenere alto il nome della nostra famiglia: almeno uno dei due doveva superare la prova.
Mio fratello passò senza grave difficoltà, era un arciere eccezionale da doti quasi ineguagliabili, ed io non ero da meno perciò ci trovammo entrambi destinati a combattere fianco a fianco i nemici del nostro popolo e forse a morire fianco a fianco per le nostre foreste.
L’addestramento fu duro ma sopravvivemmo e entrammo definitivamente a far parte dell’Armata Bianca. Mi diedero un’armatura di fattura eccelsa, leggerissima e agevole nei movimenti, una spada bastarda con inciso in runico il mio nome sulla lama, una daga che dopo l’arco era l’arma più potente che avessi mai visto e appunto l’Arco a dir poco prodigioso, alto quanto un elfo dalla portata inimmaginabile.

Dopo qualche secolo di lotte la Gil-Galad acquisì la fama prevista e divenne il flagello dei nemici degli elfi e baluardo posto a protezione dei Verdi Regni ma nonostante ciò gli Elfi Neri perseveravano nella loro lotta, assetati da chissà quale fame di sangue e distruzione.

Morte o Vita.

Capitolo terzo.

Un giorno, molto tempo fa, gli Elfi dalla Pelle Chiara trovarono l’accesso alla città sotterranea capitale del regno drow e fu deciso che l’attacco sarebbe dovuto essere quello che avrebbe segnato la fine della guerra con la vittoria degli elfi della superficie.
Le armate elfiche furono riunite guidate dai tre Re e ovviamente prese parte all’imponente esercito la Gil-Galad.
Sul capo di battaglia di fronte a noi i Drow schierarono poche truppe ben equipaggiate che iniziarono a schernirci e provocarci.
Terminata l’organizzazione della gran massa di guerrieri le nostre truppe avanzarono con un passo lento ma solenne; i Drow non si spostarono di un passo ma chiusero gli scudi.
A portata d’arco gli arcieri dell’esercito iniziarono a far piovere nugoli di frecce sugli Elfi Scuri che continuavano a barricarsi nei loro scudi, provocandoci e rispondendo con scarse controffensive di dardi.
Noi dell’Armata Bianca eravamo in disparte ad assistere, saremmo intervenuti solo in caso di bisogno ma visto che l’esercito nero era in palese difficoltà e vista la tendenza degli elfi di stimarsi al di sopra di ogni altra razza in particolare dei Drow non avremmo dovuto intervenire, ma sottovalutare gli Elfi dalla Pelle Grigia non fu di certo la più saggia delle mosse.

Si decise di terminare l’offensiva con una carica di fanteria e schiacciare definitivamente le resistenze drowish. I fanti si disposero e iniziarono la carica con le spade sguainate e gli scudi innalzati, le lance puntarono avanti e l’armata degli Elfi Neri iniziò una disperata difesa con alcuni dardi che causarono ben poche vittime ai fanti elfici che avanzavano inesorabili; ad un tratto però le frecce aumentarono d’intensità iniziando a provocare grandi vuoti nelle linee elfiche, la cosa strana fu che le frecce non provenivano dall’armata che stava subendo l’attacco…

Prima che l’esercito riuscì a rendersi conto dell’accaduto i fanti in carica furono ridotti in netta inferiorità numerica rispetto ai difensori che si scagliarono con violenza sugli elfi chiari annientandoli.
Nel giro di pochi minuti le forze degli Elfi delle Foreste capirono di essere cadute in trappola: da tutte le parti uscirono allo scoperto Arcieri-Assassini Drow fiancheggiati da Guerrieri in armature pesanti. Le forze Nere accerchiavano completamente le forze Chiare le quali si strinsero in una formazione a guscio intorno ai tre Re cercando disperatamente una via d’uscita.
Gli Elfi dei Sotterranei non caricarono i nemici ma si limitarono a tempestarli da una continua ed incessante pioggia di frecce avvelenate che causavano grandissime perdite nonostante maghi e chierici evocavano scudi e magie difensive subito contrastate da Oscuri Maghi nascosti alla vista.
Era la fine ma un’idea venne al nostro generale: l’Armata Bianca si sarebbe staccata dal resto dell’esercito per caricare il gruppo di soldati sovrastato dalla figura della grande Sacerdotessa cercando di eliminarla o almeno di creare un diversivo per dar modo all’esercito elfico di fuggire. Sapevo che sicuramente sarei morto con il resto dei miei compagni, ma ne ero felice.

Ci chiudemmo in formazione quadrata. Il perimetro composto dai Guardiani, al centro della formazione arcieri e maghi che avrebbero dovuto appoggiare la carica o difendere i guerrieri; un Guaritore per ogni lato della formazione e Veneh, il comandante, in prima fila tra i suoi soldati.
Iniziammo una corsa veloce ma non disperata. Le frecce rimbalzavano prima di colpirci grazie agli scudi difensivi evocati sull’Armata, i maghi aiutavano i Guaritori nelle magie difensive e contemporaneamente lanciavano contro-incantesimi verso le offensive dei Maghi Oscuri oppure con l’Energia degli Elementi provocavano grandi vuoti nelle linee Drowish. Io, come mio fratello e gli altri arcieri, eliminavo ogni drow su cui mi si posasse l’occhio scagliando frecce sempre letali, cosa di cui solo pochi sono in grado visto che colpire bersagli in movimento corazzati abbattendoli mentre si sta correndo non è un’impresa da poco, ma avevo passato anni ad allenarmi proprio su questo ed inoltre spesso le frecce erano accompagnate da magie che ne aumentavano la potenza o la precisione.
Giunti all’impatto con le prime resistenze degli Elfi Scuri i Guardiani scagliarono la loro forza tramite gli imponenti spadoni a due mani, arma tradizionale dei Guardiani del Tempio, ben protetti dalla magia e dalle loro armature complete in mitrhil con incise le Foglie della Foresta su uno sfondo candido e puro come i cuori dei combattenti che le indossavano.

Ci staccammo del tutto dall’esercito e sfondammo la formazione drowish che accerchiava le armate elfiche diretti al drappello della Sacerdotessa.
L’esercito elfico si mosse nella direzione opposta alla nostra ma per loro fortuna l’idea del nostro generale funzionò perché la maggior parte dell’esercito nero ignorò gli elfi chiari per attaccare l’Armata Bianca e accorrere in difesa della Sacerdotessa. Fu così che l’Armata si trovò addosso l’intero esercito del sottosuolo.

Un paio di legioni e un migliaio di passi ci dividevano dalla Sacerdotessa, potevo vederne il volto, ma non era spaventato, tutt’altro, era felice…
Veneh si rese conto che così non avremmo mai raggiunto la Sacerdotessa e dovevamo distrarre i drow ancora per un po’ di tempo per dare il tempo agli altri elfi chiari di mettersi in salvo.
Ci ordinò di proseguire accompagnati da un Guaritore e cinque maghi, gli altri Guaritori e maghi, con il comandante e i Guardiani si sarebbero fermati per affrontare l’esercito nero: morivano per darci la possibilità di colpire la Sacerdotessa.

Iniziai a correre a perdifiato verso le legioni a difesa della regina dei drow affiancato da mio fratello e dagli atri arcieri. Molte frecce caddero su di noi ma il Guaritore le bloccava. Sentivo le urla provenienti dal punto in cui l’Armata si era divisa per creare un muro alle nostre spalle: non avevo il coraggio di voltarmi a guardare ma l’idea di trenta soldati contro tremila mi martellò le tempie.

Scavalcammo eliminando in un fiato i soldati a difesa della sacerdotessa e quando ormai fui a a poca distanza dall’obbiettivo presi la mira e scagliai verso il volto della donna drow con l’orrore stampato negli occhi…la freccia però non giunse mai al bersaglio perché rimbalzò contro una barriera magica invisibile che difendeva la donna che ora rideva soddisfatta: pregustava gia la nostra morte.

Gettai l’arco ed estrassi la spada bastarda, anche altri come me si erano accorti che le frecce erano inutili contro il nostro obbiettivo ed estrassero le spade. Continuavo a correre più veloce che potevo e a pochissima distanza saltai per evitare le guardie del corpo della sacerdotessa.
Un fendente micidiale fu scagliato da me verso il collo della donna ad una velocità che sbalordì addirittura me stesso, ma fu intercettato da un'altra drow che usò il suo corpo come scudo e cadde al posto della regina. Appena misi i piedi a terra mi trovai addosso le guardie del corpo ma iniziai a lottare deciso a vendere a caro prezzo la pelle. Vidi mio fratello tentare la mia stessa impresa che sembrò riuscire quando all’ultimo momento un elfo scuro gli saltò addosso intercettandolo in area e scaraventandolo a terra.
Alla vista di mio fratello a terra quasi sopraffatto da un drow m’infuriai e mi tuffai senza pensare alla mia incolumità verso il soldato nero decapitandolo con la spada.
Durlach si rialzò e iniziammo una lotta fianco a fianco.
Voltai lo sguardo verso il resto dell’Armata Bianca: il mio comandante circondato da cadaveri di elfi scuri era rimasto solo e stava lottando con solo un solo braccio, trafitto da numerosi dardi quando di colpo un assassino giuntogli alle spalle gli infilò una daga nel collo da dietro; cadde così il muro che ci aveva difeso perché nessun Guardiano era rimasto in vita.

Il Guaritore che ci accompagnava era stato sopraffatto portandosi con se molti soldati con un ultimo colpo magico; i maghi aveva subito la stessa sorte e soli pochi arcieri erano rimasti ancora in vita e lottavano strenuamente con spade e daghe contro una marea di soldati.

Decisi che sarei morto con la testa della regina in mano e feci segno a Durlach di seguirmi. Corsi verso la sacerdotessa uccidendo un paio di guardie, una terza stava per colpirli quando Durlach le mozzò il braccio e poi gli infilò la daga in gola. Alle ferite che mi ero gia procurato se ne aggiunsero molte altre anche se non tutte riuscivo a capire da dove provenissero, eliminavo tutto quello che mi capitava a portata di lama fino a quando raggiunsi la regina.
Non ebbe il tempo di reagire perché la decapitai senza che se ne accorgesse.
Ormai ero felice e pronto a morire: mi ributtai in mischia fiancheggiato da mio fratello e raggiungemmo gli altri cinque elfi chiari sopravvissuti, ancora qualche minuto e saremmo morti tutti.

Morte…

Capitolo quarto.

Accadde una cosa strana però: i drow iniziarono una strana ritirata, non fu brusca ma veloce, non si girarono e iniziarono a correre ma essi continuarono ad attaccarci indietreggiando invece che avvicinandosi fino a che il cerchio intorno a noi si allargò e uno dei miei compagni iniziò ad aprirsi un varco gli altri lo seguirono ed io pure.
Gli Elfi Neri non ci seguivano ma continuavano a lanciarci dardi e magie: un altro di noi cadde trafitto e tutti fummo feriti ancora altre volte.

Raggiungemmo una collinetta, senza essere seguiti, gli Elfi Scuri erano lontani, eravamo lontani dall’entrata, eravamo nel regno dei drow, eravamo sottoterra.

Un altro di noi morì subito per le ferite riportate e perciò rimanemmo in cinque: cinque elfi chiari nella terra degli elfi scuri, reduci della più grande guerra tra le due razze.

Senza esserci riposati o medicati ci incamminammo con una strana fretta che tutti convivevamo, mossi con passo sicuro nonostante ci trovassimo in un luogo sconosciuto e senza meta.
Giungemmo di fronte ad una strana costruzione, non sapevo come ero arrivato lì ne perché ma sapevo che era giusto che fossi in quel luogo e dovevo entrare.

Era una specie di tempio abbandonato. Avanzavamo senza alcuna precauzione e incuranti di tutto diretti verso una qualcosa che inconsciamente ci chiamava.
Raggiungemmo delle scale e senza esitazione inizia a scendere per primo seguiti a ruota dagli altri.
Dopo quello che mi sembrò un’eternità di cammino nel buio entrammo in una stanza molto grande e scarsamente illuminata da fiaccole alle pareti.
Era un lungo corridoio che portava ad un altare: dietro l’altare c’era una statua molto grande e scura che non riuscivo a distinguere per colpa della poca luce e del sangue secco che mi sporcava il volto ed un occhio.
Quando fui abbastanza vicino riconobbi la figura della statua, mi voltai verso i miei compagni che erano sbalorditi quanto me nel vederla. Era grandissima e minacciosa, non lasciava dubbi sull’identità, la statua rappresentava la spietata dea-ragno Lolth.

Ero terrorizzato ma continua ad avvicinarmi all’altare, una forza misteriosa mi attraeva e così anche gli altri elfi. Ero felice che la figura imponente di fronte a me fosse solo una statua e non la vera Dea.
Giunto ai piedi dell’altare ci fu una piccola scossa e l’edificio tremò. Un fragore molto forte alle nostre spalle. Il passaggio da cui eravamo arrivati era crollato.
Un suono stranissimo, simile ad molte voci in coro, intonava una strana cantilena. Era soffocato e non sembravano voci di viventi. Non riuscivo a capire cosa significassero la parole.
Un bagliore rosso fuoco iniziò a scaturire dall’altare.
Mi sentivo ardere tutto il corpo, avrei preferito morire che subire un altro minuto quella tortura straziante. Vedevo sangue, solo sangue e non capivo da dove provenisse.

Il bagliore cessò. Divenne tutto nero. Mi sentii precipitare nel vuoto, fino a quando caddi su qualcosa di molto duro: un gran dolore alla schiena.
Chiusi gli occhi e non sentii più nulla…

Maledetto.

Capitolo quinto.

Passarono alcuni secoli.

I Tre Re si salvarono e l’impresa eroica dell’Armata Bianca che si sacrificò per il popolo elfico fu cantata per molto tempo. Nessuno seppe mai dei sopravvissuti e tutti pensarono che la Gil-Galad fu annientata dalle forze sotterranee.
La guerra continuò nonostante tutto tra i due popoli ma rari furono gli eventi di scontro aperto.

I cinque elfi superstiti dell’Armata si rassegnarono a vivere nel sottosuolo, cibandosi con ciò che trovavano o rubavano ai drow, nascondendosi e scappando per non essere scoperti e uccisi.
Ma qualcosa in loro con il passare dei secoli cambiò…

Uccidendo la Grande Sacerdotessa Nardu aveva attratto su di se la Nera Maledizione, per questo i soldati Drow avevano paura di stargli vicino perché sapevano che chiunque fosse stato con lui sarebbe stato maledetto. Questo accadde ai compagni elfi di Nardu.
Il luogo in cui furono attratti dalla maledizione era il Tempio Perduto di cui solo i Fedelissimi di Lolth e i Maledetti trovavano l’entrata.

Al risveglio dopo il bagliore rosso gli elfi si trovarono fisicamente e mentalmente più forti di prima, ma iniziavano ad aver fastidio della luce solare, mentre vedevano bene al buio.
Con il passare dei secoli le loro pelli divennero grigie, le loro menti oscure, i loro occhi bianchi, il loro cuore arido e la sete di sangue aumentò.

Erano diventati Elfi Maledetti, gli Elfi Neri, Ilythiiri, Drow…

…Vita

Capitolo sesto.

Era quasi mattino, se così si può definire, stavo finendo il mio turno di guardia, era toccato a me fare l’ultimo turno primo dell’alba; aspettavo da giorni questo momento.
Mi diressi verso i giacigli dove gli altri quattro dormivano, anzi tre, mio fratello era sveglio, con la daga sguainata in mano senza far il minimo rumore.
Appena Durlach mi vide si alzò: aveva l’arma gia pronta. Volevamo farlo ormai da molto.
Silenziosamente e con circospezione mi avvicinai al primo elfo, mio fratello si diresse verso un altro e con una sincronia quasi ricercata colpimmo una volta a testa, uccidendo i nostri compagni. L’ultimo rimasto si stava destando, ma non ne ebbe il tempo: gli fui addosso e così anche Durlach. Si ritrovò morto con la gola lacerata e il peto trafitto all’altezza del cuore.

Eravamo degli assassini. Ma gia da molti anni ormai; uccidevamo tutti i drow che incontravamo nelle nostre scorrerie: donne, bambini, chiunque senza pietà, spesso nel cuore della notte durante il sonno.

Depredammo i corpi dei nostri compagni defunti e ci dirigemmo verso la città degli Elfi Neri.
Ormai avevamo abbandonato i nostri averi elfici: le armature dopo la battaglia erano distrutte per la maggior parte, le frecce elfiche utilizzate tutte, le armi in parte perse durante la lotta, in parte distrutte, in parte barattate con mercanti senza scrupoli e dalle poche domande per beni per la sopravvivenza.
Eravamo uguali a tutti gli altri drow che abitavano la città: aspetto, lingua, usanze, mentalità; identici a loro.

Raggiungemmo la città dopo qualche ora di cammino ed entrammo senza problemi, senza destare nessun sospetto negli altri drow che ci vedevamo come loro simili da truffare o sfruttare in qualche modo, se non uccidere per guadagno.

Trascorsero molte vite umane e i due fratelli si insinuarono nella società della città acquisendo anche posti di un certo prestigio e diventando abbastanza ricchi per abbandonare quel mondo e andare in superficie. Loro sogno nascosto: abbandonare il sottosuolo.

Affrontarono molte difficoltà per organizzare la partenza visto che non potavano svelare la loro meta ma alla fine abbandonarono il Regno Nero con una carovana diretta in superficie.

La destinazione ultima del viaggio sarebbe stata la città di Stormreach e l’unico motivo che portava li i due fratelli drow era che la meta della carovana era proprio quella città.

Edited by Nardu - 19/4/2006, 22:28
 
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