[D&D - Ricordi dal Passato] Nardu & Durlach

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Nardu
view post Posted on 13/7/2008, 18:22




Era una notte opprimente senza luna, le nubi cariche di pioggia oscuravano ogni luce abbracciando l’orizzonte con un macabro gesto d’affetto. Una notte senza stelle, presagio di sventura e morte per gli Elfi dei Reami.

Una sagoma scura avvolta in un mantello, come se si coprisse dal freddo, s’avvicinò alla muraglia della Villa con passo lento, mimetizzandosi alle proiezioni ombrose delle nuvole sul suolo.
Appena fu nei pressi dell’invalicabile barriera di pietra, sorvegliata giorno e notte dalle guardie armate, la sagoma con uno scatto valicò l’ostacolo senza attirare l’attenzione di nessuno nei dintorni, tanto da dare impressione d’essere invisibile, ed atterrò dolcemente sul suolo dell’altra parte.
La corsa per coprire la distanza che separava le mura dalla Villa fu percorsa in un batter d’occhio dall’intruso che si muoveva con continui cambi di direzione, passando da ombra ad ombra. Nessuno s’accorse di nulla finché egli non raggiunse la base dell’edificio.

Una coppia di guardie sorvegliava il portone principale della Villa, rigide sull’attenti, armate d’alabarde. L’intruso non scoperto, pochi metri più a destra del portone, mosse i primi passi verso le ignare milizie, muovendosi come camminasse tranquillamente per strada.

Quando la figura munita di mantello fu a pochi centimetri da una delle due guardie, questa si voltò sorpresa e fece per abbassare l’alabarda nella sua direzione, ma la reazione fu immediata.
L’Assassino balzò in avanti con un gesto fulmineo. Un braccio afferrò l’alabarda alla base, mentre l’altro rapidissimo corse al fianco svelando un pugnale, dalla lama lunga quanto l’avambraccio di un uomo adulto, nel frattempo il corpo dell’Ombra piroettò su sé stesso e un calcio piantò al muro la milizia elfica disarmandola. La lama argentea del pugnale si mostrò per un istante solo prima di stroncare la vita dell’elfo in armatura, attraversandone il cuore.

L’altra guardia non ebbe il tempo di reagire per impedire al proprio compagno di soccombere, ma appena si fu ripresa dalla shock tentò una controffensiva verso l’Assassino non ancora divincolatosi dalla complicata manovra d’uccisione. Affondò l’alabarda abbassata verso la schiena coperta dal mantello nero, quando un terzo braccio ne bloccò l’avanzata. Dal nulla un calcio centrò il cranio della guardia donandole un riposo eterno.
Se qualcuno avesse notato la scena avrebbe visto una seconda sagoma staccarsi dalla prima, come se fino ad un attimo prima ne avesse fatto parte, dando così consistenza a due entità separate.

I corpi delle due guardie elfiche cadute furono messi da parte da uno dei due Assassini, mentre l’altro affrontava il portone serrato, che però offrì una scarsa resistenza alle tecniche di violazione utilizzate. Entrarono senza farsi sentire da nessuno e raggiunsero rapidamente la camera dove il loro obbiettivo riposava tranquillo, due piani più in alto rispetto all’ingresso.

Vi erano due figure nel letto a baldacchino: il proprietario della Villa e la sua consorte.
I due Assassini si avvicinarono, uno per parte, e con freddezza e precisione spezzarono le vite dei loro bersagli abbandonandoli al loro mondo di sogni senza possibilità di uscirne.
Le Ombre ammantate e soddisfatte iniziarono a ripercorrere i propri passi a ritroso in direzione della porta. La missione era compiuta, non sarebbe stato necessario uccidere nessun altro a patto che non vi si fossero presentati ostacoli alla fuga.

Nel corridoio i due uomini camminavano a passo sicuro uno dietro l’altro tenendo i sensi all’erta. D’improvviso l’Assassino davanti indietreggiò di un passo scartando il fendente di una spada corta lanciato all’altezza del ginocchio. Subito dopo l’aggressore si rivelò uscendo da una piccola rientranza della parete e si tuffò all’assalto con affondi veloci e potenzialmente pericolosi, anche se branditi con poca forza.
Si trattava di un piccolo elfo dell’età massima di dieci anni: era il figlio del padrone di casa.
I colpi del giovane sembravano non puntare a ferire veramente gli intrusi ma a minacciarli e farli indietreggiare, il volto del piccolo era tirato per lo sforzo e la tensione, ma non spaventato o carico di odio.

Improvvisamente l’Assassino dietro dovette scostarsi all’ultimo per salvarsi la vita, ma ciò nonostante un affondo recise parte del mantello e del vestito nero. Un altro elfo della stessa età di quello davanti aveva atteso alle spalle il momento propizio per colpire, approfittando del disordine creato dall’altro.
Questi era il fratello e secondogenito del padrone della Villa.
L’Assassino con il mantello devastato colpì con violenza il petto del giovane facendolo sbattere diversi metri più indietro contro un mobile, neutralizzandolo. Allo stesso tempo l’Assassino, ancora occupato con il primo fratello, scostò un colpo parandolo con la daga e ne affondò la lama in una spalla; questi prima ancora di poter accusare il dolore perse i sensi e cadde a terra in preda agli spasmi.

Rapporto dell’Osservatore sulla missione di assassinio del Sovrano delle Foglie dei Reami Elfici.


La macabra voce si spense strozzata, come se all’oratore fosse stata recisa la gola. Calò un silenzio pressoché totale. L’individuo interamente coperto da una cappa scura ripiegò il rotolo di pergamena e se lo ripose sotto le vesti.

La grotta cupa in cui si svolgevano le riunioni del Consiglio era illuminata occasionalmente da rade torce dalla fiamma verde.
I due elfi sotto giudizio si trovavano al centro della stanza sotto lo sguardo severo dei Consiglieri posizionati oltre un altissimo tavolo, celati dalle ombre.

“Freddezza, strategia, geniale lavoro di coppia e una buona padronanza nell’arte dell’occultarsi e dell’uso delle armi …” ricapitolò una severa voce proveniente da destra del tavolo.
“… e ottimi sensi, dato che si sono accorti della presenza dei nostri Assassini …” aggiunse un altro.
“E aggiungerei che l’abilità nell’arrangiarsi ed improvvisare un piano efficace in così poco tempo è notevole!” sottolineò la prima voce.
“Scarsa capacità di valutare il pericolo, erano avvantaggiati dal conoscere il luogo, manie di protagonismo dato che avrebbero tranquillamente potuto chiamare delle guardie e …” iniziò a dire una voce sulla sinistra, ma fu subito completata da un’altra.
“Sono elfi!”
“Silenzio …!” sussurrò la Voce proveniente dal centro, con una tale crudeltà che sembrò un avvertimento dallo stesso peso di una condanna a morte.

Poi riprese “Questi giovani hanno un ottimo potenziale ed un fortissimo legame che difficilmente anche le nostre Ombre più anziane faticano ad instaurare e dei difetti che l’Addestramento può colmare. Sono elfi mente la nostra regola impone unicamente esseri umani, ma nulla ci vieta di trasgredire alle regole che noi stessi abbiamo imposto. Mettiamoli alla prova. Se la superano inizieranno l’Addestramento, se falliscono …”

Verbale depositato nell’Archivio dei Ricordi dell’Oratore Von Vladimir sulla seduta straordinaria del Consiglio della Notte per l’ammissione di Indegni all’Addestramento.

 
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Nardu
view post Posted on 13/7/2008, 18:24




Giorno quinto del Dodicesimo mese. Anno Dieci.

Il mio nome è Nardu. Mio fratello Durlach è l’unico parente che mi resta al mondo dato che i miei genitori, gerarchi nel Regno degli Elfi, furono assassinati.
Decisi di scrivere un diario, ma quando la penna toccò il foglio, la consapevolezza che quella sarebbe potuta tranquillamente essere la prima e ultima pagina della mia opera mi schiacciò. Eppure non feci marcia indietro. Se fossi sopravvissuto, tener memoria del mio passato avrebbe potuto servirmi.

Ci condussero nella Sala dalle Prove. Piccola, spoglia e illuminata da una luce soffusa senza nessuna apparente origine. Ci diedero un pugnale a testa e richiusero il pesante portone alle nostre spalle.
Io e mio fratello ci guardammo perplessi: dov’era la prova?
Noi temevamo combattimenti cruenti in cui avremmo rischiato la vita e invece non vi era nessuno. Forse il nostro avversario si stava preparando.

Ad un tratto una voce suadente ci disse parole orribili. Non ne capimmo la direzione d’origine.
“Solo uno di voi uscirà da questa stanza. Uccidi tuo fratello.”
Osservai mio fratello e notai che era sgomento quanto me. Dopo diversi minuti di silenzio mi decisi a urlare in direzione del nulla:
“Non ci uccideremo a vicenda senza motivo!”
Come per risposta mi sentii il fiato venir meno, una mano invisibile mi stringeva la gola, caddi in ginocchio. Al pari mio fratello era steso a terra al mio fianco paonazzo.
La voce riprese e capii che proveniva dall’interno delle nostre teste e non dall’esterno.
“Solo uno di voi uscirà da questa stanza. O nessuno! Uccidi tuo fratello oppure morirai!”

La morsa intorno al collo svanì e cercai subito con lo sguardo il mio consanguineo. I nostri occhi s’incontrarono e capii cosa doveva esser fatto.
Strinsi con forza il pugnale e mi gettai all’attacco tentando di coglierlo di sorpresa, ma lui s’aspettava un’azione del genere e con un piede arrestò la mia avanzata spezzandomi il respiro.
Indietreggia dandogli il tempo di alzarsi in piedi. Stavolta attaccò lui con il pugnale, maneggiandolo con la mano sinistra, ed io parai con facilità cadendo nella sua trappola. Un pugno possente lanciato con la mano destra mi affondò tra le costole e mi sentii venir meno.
Strinsi i denti eppure indietreggia barcollando lasciando cadere il pugnale. Mio fratello cogliendo l’occasione venne avanti pronto a porre fine allo scontro, ma così facendo abbassò la guardia.
Ripresi il controllo del mio corpo, dopo la finta che aveva ingannato l’avversario, e mi protesi in avanti colpendo con entrambe le mani il petto di colui che mi stava dinnanzi.
La sua arma ferì il mio braccio, ma egli cadde disarmato e prono un paio di metri avanti rispetto a me.
Raccolsi famelicamente entrambe le armi e mi getta con un balzo su di lui.

Un istante dopo entrambi i pugnali erano conficcati ai due lati del collo, lasciando quest’ultimo intatto al centro.
M’issai in piedi e diedi una mano a mio fratello a rialzarsi. Questi l’accettò di buon grado con un sorriso. Entrambi riprendemmo in mano i nostri pugnali.
“Stavolta hai vinto tu, ma se non sbaglio nella classifica finale sono in vantaggio io.”
“Bell’allenamento fratello!”

Ci sorridemmo pensando a tutte le volte che avevamo lottato l’uno contro l’altro per affinare le nostre tecniche.
“Noi non ci uccideremo a vicenda. Fate ciò che volete delle nostre vite.”
Immediatamente il fiato venne meno e la vista iniziò ad appannarsi. Un messaggio rimbombò nella mia mente.
“Se uno muore l’altro si salva.”
Strinsi il pugnale e colpii violentemente il mio petto. Appena l’ebbi fatto sentii una fitta enorme avvolgermi tutto il busto e con la coda dell’occhio cercai mio fratello.
La scena mi lasciò boccheggiante: anch’egli stringeva in mano il pugnale conficcato nel suo petto e mi sorrideva.

La voce riecheggiò nelle nostre teste: “Avete superato la prova Fratelli dell’Ombra.”
 
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Nardu
view post Posted on 13/7/2008, 18:27




Giorno terzo del Nono mese. Anno Sessanta.

Una leggera e cupa musica lottava contro il silenzio delle stanze della Gilda: il suono di un flauto solitario.
Le note serpeggiavano raggiungendo ogni ambiente e ogni orecchio conquistando la mente di quanti vi prestavano orecchio. Mi sentivo vivere attraverso ogni accordo.

Mio fratello nella stessa stanza terminava d’intagliare una maschera dall’aspetto tremendo, frutto di diverse prove. Un sogghigno malefico donava a quel volto immobile suggeriva odio e freddezza tipici di ogni sicario, il nero profondo era specchio del cuore del personaggio rappresentato, gli occhi chiusi a fessura raccontavano i crimini passati e futuri dell’Assassino.

Senza un rumore la porta della stanza si aprì.
“Nardu. Durlach. Dovete seguirmi nelle Stanze Rituali.”
Com’era entrato l’uomo uscì. Io e mio fratello abbandonammo ogni attività, io rinfoderai nella custodia il flauto e lui si legò alla cintura la maschera.

Raggiungemmo dopo poco il salone cerimoniale ed entrammo senza esitazione. All’interno un paio di Ombre ci attendevano. Figure già viste negli anni di addestramento: erano gli Esperti delle Maledizioni.
“Avete terminato la prima fase dell’Addestramento. I vostri corpi sono agili e veloci, i vostri riflessi pronti e le vostre menti fredde a calcolatrici. Siete al livello dei migliori sicari al mondo, ma non siete ancora al livello delle Ombre.” Iniziò a spiegare l’uomo sulla destra.
“Per poter iniziare l’Addestramento al secondo livello e sviluppare la mente delle Ombre e le loro doti superiori alla media la Gilda vi offre dei doni.” Continuò la donna sulla sinistra.

Ci fecero cenno di spogliarci di tutto e di sederci al centro dello stanzone dove un serie di pentacoli intersecati davano forma ad un elaborato insieme di linee argentate ed oro. Diverse Rune e parole in Draconico e Abissale disegnate con sangue misto ad oro liquido decoravano pesantemente l’intera scena, fin sulle pareti.
Al centro del tutto vi erano due cerchi in cui io e mio fratello c’accomodammo.

“Quale animale desiderate?” ci chiese la donna e noi la guardammo perplessi. “Quasi ogni coppia della Ombre ha un animale di riferimento, una sorta di simbolo.”
Calò un attimo di silenzio e poi rispondemmo all’unisono.
“Serpente!”
Un ghigno si delineò sul volto della donna.
L’uomo svanì per alcuni attimi e quando tornò portava in mano una gabbia con un paio di serpenti molto piccoli. I due animali furono liberati e posati intorno ai nostri colli.

I Maestri delle Maledizioni si sedettero all’esterno dell’intricato vortice di pentacoli a gambe incrociate ed iniziarono a cantilenare qualcosa. Un’aura nera li avvolse e noi fummo paralizzati. I serpenti iniziarono ad indurirsi e a stringere intorno ai nostri colli, ma noi non potevamo muoverci o parlare.
Poco dopo la vista venne meno e l’ombra che inizialmente avvolgeva solo i due Maestri avviluppò l’intera stanza.

Credo di esser svenuto in quell’occasione perché non porto ricordi, ma quando riacquistai la vista il serpente era di fronte a me e mi osservava serio. Solo ora notai che non doveva superare i quaratacinque centimetri di lunghezza ed era nero con degli insoliti disegni rosso sul dorso. Gli occhi erano illuminati da una luce profonda e i canini splendevano nella penombra.
Mosse la bocca disse “Sono qui per servirvi, padrone! Il mio nome è Osiride.”
Rimasi inizialmente scioccato ma mi ripresi rapidamente. In cinquant’anni avevo visto cose impossibili accadere nella sede della Gilda, questo era più che plausibile.

Mi guardai intorno e mi resi conto di esser vestito d’abiti mai visti prima. Portavo un lunghissimo mantello di raso nero decorato con serpi d’argento che lasciavano cadere lacrime cariche di tristezza. Il cappuccio, se calato sul capo, ne celava completamente il volto, data la forma a punta molto prolungata. La spilla, a forma di pugnale, era costituita da un rubino scolpito.
La mie vesti, composte e agevoli, erano di diversi colori, dal blu al nero, con sfumature viola e porpora, tutti facilmente occultabili nell’ombra, ma allo stesso tempo gradevoli alla vista. Lunghi lembi di stoffa svolazzavano alla leggera brezza e uno di essi poteva essere usato per celare il viso fin sotto gli occhi.
I calzari scuri, legati con della corda di nastro nera, si prestavano perfettamente al movimento furtivo e all’acrobatica.
Legata alla cintola vi trovai una piccola maschera in un materiale leggero e flessibile, ma allo stesso tempo resistente; rappresentava un mezzo volto, la parte sinistra, ed era bianca con un serpente rosso vivido che brandiva la fessura per l’occhio, tirata in un’espressione di cinica freddezza.
Nella mano destra stringevo una daga dal filo nero ricurvo, decisamente lunga per un’arma di quella leggerezza, anche se rimaneva facile da occultare sotto i vestiti. La lama era intarsiata con un serpente color rubino, altro richiamo al nostro simbolo, mentre l’elsa argentea arricchita di cristalli azzurri a forma di lame rappresentava la bellezza della fatal notte di luna.
Strinsi il pugno e m’accorsi che era più potente di prima e le mie vene erano di color nero. Mi sentivo più forte e più leggero, ma al tempo stesso qualcosa dentro di me era venuto meno.

Con lo sguardo trovai Durlach e subito mi accorsi che era vestito come me, tranne che per una differenza: nella mano stringeva una mezza maschera simile alla mia, ma speculare.
Il suo sguardo era più duro e sul viso, sul lato sinistro, portava un marchio a forma di serpente che gli avvolgeva l’occhio in un morso tentatore irto di lingua biforcuta. Lui mi guardò e sembrò altrettanto stupefatto nel vedermi in volto, allora immaginai che anch’io dovevo avere un tatuaggio simile al suo.
I disegni sul volto erano identici a quelli sulle maschere, ma invertiti: io simbolo sula lato destro e maschera sinistra, lui viceversa.

“Le vostre anime sono state corrotte alla Notte, il vostro marchio è il simbolo che ricevono tutti i Fratelli, in modo speculare, ma che non è ancora a pieno dei propri poteri e i serpenti magici vi obbediranno e serviranno. Le daghe sono gemelle e se unite tramite un particolare incastro creano un’arma decisamente efficace: solo loro possono unirsi senza incongruenze.
Ora andate e dimostrate di essere delle vere Ombre a tutta la confraternita e sarete pronti per la terza fase.”
 
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Nardu
view post Posted on 13/7/2008, 18:31




Giorno trentunesimo del Quinto mese. Anno Cento.

Finalmente era giunto il giorno in cui io e mio fratello avremmo potuto dimostrare il nostro valore agli occhi dell’intera gilda. Ci eravamo allenati molto ed avevamo cercato qualche impresa degna di noi e che avrebbe costituito una prova inconfutabile delle nostre capacità.
Nella sede della gilda esistevano zone celate ed oscure ove segreti nascosti erano tanto antichi quanto pericolosi da tener lontani anche i grandi maestri delle Ombre. In questi antri abbandonati vi erano prove che permettevano ai membri della Gilda di acquistare nuovi poteri, se superate con successo.

Io decisi di affrontare la sfida della spada degli assassini.
In una delle zone proibite vi era una spada dalla storia nebulosa ma ogni Ombra sapeva che il possessore avrebbe guadagnato un potere ineguagliabile.
Nessuno era tornato indietro dalla prova e per questo il motivo dovevo portarla a termine io. Avrei avuto diritto ad essere chiamato assassino della Gilda.

Durlach, da sempre attratto dall’arte dell’uccidere a distanza, decise di affrontare la prova chiamata l’abbraccio della morte. Non si sapeva molto, ma ci si basava sul racconto di un sopravvissuto, che pur non essendo riuscito a superare la prova, era sopravvissuto. Il povero assassino, da quando era tornato, non era più stato lo stesso: farneticava cose senza senso e parlava dell’abbraccio degli inferi.

Varcai la soglia senza pensare molto e subito mi trovai in un lungo e stretto corridoio. Dovetti camminare per diversi minuti a passo spedito per arrivare ad un grande atrio illuminato da alcune torce.
Dall’altra parte dell’altro vi era, poggiata su un tavolo in ebano, una spada.
Mi guardai intorno, sicuro che vi dovesse essere qualche sorta di trappola, eppure non trovai nulla che potesse sembrare un’immediata minaccia.
Vi erano tre arcate per lato e sotto ogni arcata vi era una statua raffigurante un possente combattente.
Le lastre di pietra di forma esagonale erano di tre colori differenti, rosso, nero e bianco, e formavano dei disegni complessi e articolati.
Sul soffitto erano attaccate delle statue raffiguranti dei gargoyle a testa in giù e apparentemente immobili.

Mio fratello osservò la soglia: una porta di metallo antico e consunto, coperto da segni e graffi. Delle parole in runico serpeggiavano lungo il bordo, ma lui non ne comprese il significato e le ignorò.
Oltre la soglia l’oscurità regnava sovrana e nemmeno gli occhi abituati alla permanenza nella tenebra di Durlach riuscivano a distinguere le immagini. Solo un corridoio nell’ombra, stretto e lungo, era visibile, illuminato da linee argentee. Non vi era traccia di pareti.

Avanzai guardingo.
“Desideri tu la spada?” Mi chiese una voce senza origine.
“Sì ...” Riposi semplicemente.
“Per quale motivo vuoi la spada?” Chiese nuovamente la voce.
“Per dimostrare di essere un valido assassino e vi riuscirò.” Risposi a mento alto.
“Dimostrami di essere degno!”

Il corridoio terminò in una specie di area circolare.
“Per quale motivo sei qui?” Sussurrò una voce.
“Voglio sottopormi alla tua prova e superarla.” Rispose Durlach.
“Perirai nel tentativo.” Minacciò.
“Questo sta a me deciderlo!” Sputò mio fratello con ferocia.

Gli esagoni sul pavimento di color bianco vibrarono e all’improvviso lame acuminate schizzarono verso l’alto. Fortunatamente gli anni d’allenamento diedero i loro frutti eppure ciò non mi permise d’uscirne incolume. Il mio braccio sinistro iniziò a sanguinare violentemente.
Le lame si ritrassero.
Le statue sotto le arcate presero a muoversi e impugnando le proprie armi mi attaccarono.
Erano lente e goffe, anche se i loro colpi particolarmente violenti, ma non correvo rischi.
Estrassi la daga e mi lancia all’attacco sul primo, schivando il suo fendente. La mia lama colpì in pieno viso il mostro di roccia, che m’ignorò e perseguitò nella lotta.
Vi furono diversi scambi di attacchi violenti e dopo un tempo che mi sembrò interminabile la stanchezza iniziò ad impossessarsi del mio corpo.
Io sanguinavo sia dal braccio ferito sia dal fianco e probabilmente dovevo avere alcune costole fratturate, i guardiani di roccia erano incolumi. Ogni mio colpo si era rivelato inefficace, la mia lama non riusciva a scalfire la loro corazza.

Il corridoio alle spalle svanì e per un attimo rimase solo il silenzio e il buio a far compagnia all’elfo.
Poi l’intero ambiente s’illuminò, assumendo un offuscato colorito rosso fiamma; la luce proveniva dal basso.
Durlach, resosi conto di essere su una sorta di piana di roccia sospesa nel vuoto, si avvicinò al bordo e scrutò sotto di lui: un inferno di fiamme e anime che si lamentavano contorcendosi ed esigendo nuova compagnia. Mio fratello sgomento si guardò intorno: diversi blocchi di roccia, più piccoli e più grandi, sostavano sospesi a mezz’aria su diverse altezze. Alcuni di essi erano congiunti da percorsi in roccia, altri da corde e funi, altri ancora del tutto isolati.
Su quasi ogni blocco vi era un’arma: archi, pugnali da lancio, shuriken, cerbottane, fionde.

Passarono quelle dovevano essere ore e ormai ero ridotto in ginocchio. Non sapevo come contrastare quella minaccia. Avevo addirittura tentato di far scontrare i guardiani tra di loro, ma questi si erano colpiti con violenza senza scalfirsi minimamente.
Un colpo di mazza di mancò di un soffio, ma fui costretto ad indietreggiare verso un altro che con un fendente mi strappò la daga di mano.

Improvvisamente il blocco di pietra su cui si trovava iniziò a vibrare e sgretolarsi.
Durlach dovette balzare da dove si trovava ad un altro blocco, decisamente più piccolo e si voltò. Il pavimento dov’era prima svanì cadendo tra le fiamme molto più in basso. L’elfo non riusciva a capire in cosa consistesse la prova. Poi vide.
Al centro di quel complesso di rocce vi era, ad una notevole distanza, una bolla arancione.
Mio fratello raccolse l’arco e la freccia poggiati sul masso dov’era e fece per prendere la mira. Il masso sotto di lui vibrò e si sgretolò in un baleno.

Rotolai pochi metri più in là e guardai inerme i miei esecutori che si avvicinavano. Ero stato privato della mia arma, delle mie energie e le braccio ormai steso lungo il fianco. Ero stato uno sciocco a credere di poter superare la prova che era costata la vita a tanti abilissimi assassini.

Saltò all’ultimo secondo aggrappandosi ad uno sperone di un altro masso, ma perdendo l’arco che rovinò in basso con le rocce.
Durlach fu costretto a saltare di roccia in roccia, sfruttando le corde e i passaggi, raccogliendo quando possibile ogni arma, ma mai aveva il tempo per prendere la mira.

Senza pensare misi mano al mio flauto e lo portati alla bocca. Se dovevo morire avrei voluto farlo suonando il mio carissimo strumento. Intonai una melodia di odio e rabbia.
Ma mano che suonavo notai che i guardiani divenivano sempre più lenti ed ad un certo punto si fermarono. Uno di essi si sbriciolò davanti ai miei occhi; nel giro di pochi minuti dei guerrieri non restava più nulla.
Li guardai incredulo.

Ormai gli appoggi erano quasi terminati. Ne rimanevano due, poi cosa avrebbe fatto? Il santo nel vuoto sarebbe stato inevitabile.
Raccolse una fionda armata di proiettile incendiario, puntò un ginocchio e tese la corda. La terra sotto di lui iniziò a vibrare pericolosamente, ma lui non si scostò. Vedeva la bolla davanti a lui ed un attimo prima di crollare nel vuoto scagliò. Mancò il bersaglio di un soffio. Tutto cadde.
Fortunatamente l’ultima roccia era praticamente sotto e vi cadde addosso. Quivi vi era un pugnale da lancio di ottima fattura. Lo raccolse e quando sentì tutto cedere sotto di lui fece una pazzia. Si lanciò nel vuoto in direzione della bolla e cadendo prese la mira: lanciò e colpì il bersaglio.

Smisi si suonare e trascinando a fatica il mio corpo esausto mi avvicinai alla mia arma, raccogliendola.
Non vi furono reazioni.
Iniziai a camminare verso la spada.
Nulla sembrò accadere.
Raggiunsi la tavola, dove su dei cuscini di velluto essa era posata. La osservai.
Un nastro viola e nero ne ricopriva l’elsa, mentre due lame sorelle d’adamantio si diramavano in due direzioni opposte. Una di esse, con venature azzurre, presentava alla base un serpente argenteo, come se il destino avesse voluto che essa fosse mia; ella era la lama di destra. La sorella, con venture rubino, portava alla base un teschio e aveva l’aria di esser molto più spietata dell’altra.

Tutto acquistò una consistenza e le fiamme sotto di mio fratello svanirono.
Davanti a lui vi erano un arco elfico composto con un legno fantastico unito ad una faretra nera e ricoperta di ricami argentei.
Intorno all’arco vi erano tre pugnali illuminati da una flebile aura azzurro-grigia.
“Questo è il dono per chi ha la mira dell’Assassino.”

Allungai la mano e afferrai la spada. Un sorriso si dipinse sul mio volto.

Allungò le braccia e legandosi arco e faretra dietro le spalle, mise i pugnali alla cintura.

Da quel giorno fummo Assassini della Gilda, ma non Ombre. Eravamo i Fratelli Shibi. Avremmo dovuto girare il mondo e scoprirlo, per poi tornare per l'Iniziazione. Smisi di scrivere il mio diario, che lasciai alla Gilda e decisi di tenere delle memorie del mio viaggio.
 
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