[MdT - L'equilibrio spezzato] Cercare il giusto con le catene, BG di Artemis Njemoj

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Nardu
view post Posted on 29/4/2010, 12:05




Nacqui nel 1560 in una regione non lontana dalla Siberia, nel pieno territorio del neo impero zarista.
Nonostante Ivan III avesse da poco preso il titolo di zar e avesse dato una nuova faccia alla russia, il modo di governare restava lo stesso dei suoi predecessori.
Ma io tutto questo all'epoca non lo sapevo.

Nacqui da una madre che non conobbi e da un padre che non è mai esistito, in un luogo che non ricordo.
Se cerco di tornare indietro con la memoria le immagini più recondite che mi tornano davanti agli occhi sono quelle di un villaggio in fiamme sotto la neve invernale...


...e io sono un ragazzino, lo vedo dalla mia immagine riflessa sull'acqua gelata davanti a me. Intorno vi è un vociare e urla confuse, ma non riesco a sentirle.
Scoppia dietro di me un "PRENDI L'ACQUA!" accompagnato da un calcio: cado nella pozza gelida. Nel giro di un'istante perdo la sensibilità del mio corpo e il petto è pesante ed immobile.
Il mondo diventa nero...


...poi le immagini vengono a mancare e non ricordo cosa accadde. Invece incancellabili vi sono i momenti successivi...

...in cui ho un secchio di acqua gelida in mano. Pesa molto e le dita di colore blu mi fan male e non stringono abbastanza. Ma ho paura a farlo cadere quindi stringo i denti e con le lacrime agli occhi avanzo.
Avanzo tra delle persone ai bordi della strada. Non dicono nulla e sono sdraiate o appoggiate ai muri. Non si muovo e sono sporche di sangue.
Non so perchè, ma non voglio fermarmi. Ho paura.
Oltre alle persone, al sangue e alla case vi è un gran fumo acre che non mi fa respirare. Tossisco più volte e lacrimo, ma non lascio cadere il secchio.
Io continuo perchè devo continuare finché non arrivo davanti ad una casa in fiamme.
Ci sono una bambina e la sua mamma a terra sull'uscio in una pozzanghera porpora e ai loro piedi il fuoco divampa. La ragazzina caccia un mezzo lamento.
Io getto l'acqua sulle fiamme come mi han detto e torno indietro finché...


...non ho altri ricordi della mia infanzia.
L'unica cosa che so per certo è che trascorse e divenni ragazzo.

Come tutti sappiamo la storia è capeggiata di guerre, ma la guerra non è mai piacevole, soprattutto per chi deve combatterla. Ci sono guerre in cui gli uomini hanno scelto di prendervi parte, poi pentendosi, ma per la maggior parte nessuno ti chiedeva e ti trovavi a rischiare la vita per uccidere qualcun altro senza nemmeno saperne il motivo.
E' così che avevo poco più di vent'anni...


Edited by Nardu - 29/4/2010, 14:28
 
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Nardu
view post Posted on 29/4/2010, 14:25




...e mi ritrovai con una vanga in mano, insieme a tanti altri come me in mezzo al rumore degli spari e alle grida degli uomini sofferenti.
Sono vestito di qualche straccio sudicio, giusto per "avere decenza" e cammino scalzo tra i sassi bagnati dalla pioggia e dal sangue.
Non mi guardo intorno e non faccio domande. Seguo solo la strada.
Seguo l'altro come me, davanti a me, nella lunga trincea. Incurante di chi combatte e per cosa combatte.
I rumori delle bombe tuonano nell'aria e le grida straziate dei feriti morenti squarciano l'animo.
Io cammino e non ascolto nulla, poi "BOOOM!"...

Mi fa male tutto e non sento il mio corpo.
Le orecchie mi pulsano e fischiano. E rimbombano nella mia testa.
Non vedo niente, il volto brucia. Non riesco a toccarmi con le mani, non so dove ho le mani. Non so dove ho il viso. Non so dov'è il mio corpo.

Piano piano la luce torna, dapprima bianca e accecante, poi sempre meno intensa e compaiono le immagini.
Un attimo prima c'erano altri come me nella trincea ed ora c'è un buco fumante e la roccia e imbrattata di sangue e carne bruciante.
Mi rialzo a mala pena, barcollante e mi rendo conto di essere intero, anche se ferito, giusto in tempo per venir gettato a terra da un violento colpo alla nuca.
"ALZATI! Continua a camminare e vai a scavare! Bisogna finire la trincea!".
Lo guardo e vedo che mi punta la canna del fucile sul viso davanti agli occhi sconvolti degli altri come me.
Mi alzo di nuovo, accompagnato da insulti, raccolgo la mia vanga e riprendo a camminare nella trincea.
Adesso sono io il primo della fila.

Cammino scalzo sui resti dell'esplosione tra frammenti di metallo, sangue e carne.
Cammino scalzo sui corpi martoriati degli altri come me che prima mi precedevano.
Cammino scalzo su un ragazzo della mia età che cerca di tirarsi su in piedi essendo sopravvissuto all'esplosione, ma gli mancano le gambe. Un attimo dopo il soldato che mi segue lo pugnala al petto un paio di volte e lo getta da parte.
Cammino scalzo fino a raggiungere la fine della trincea e inizio a scavare.
Devo scavare.
Tra gli spari, la guerra e la morte.
Devo scavare.
Continuo a scavare finchè...


...persi i sensi. Forse per le ferite, la fatica o chissà cos'altro. Non lo so. Ma di quel momento non ho altri ricordi e tutto si perde nel limbo dei miei pensieri confusi.

Da bambino non avevo mai udito la parola giustizia. Poi crescendo avevo sempre creduto che portar giustizia significasse giustiziare qualcuno, cioè punirlo per i suoi errori, solitamente con la morte o peggio.
Il mio mondo era piccolo e per questo non conoscevo.

Quando divenni un adulto iniziai a farmi delle domande. Iniziai a chiedermi se tutto questo era giusto, se tutto questo era equo.
Può un uomo decidere così sommariamente del destino di un altro uomo?
I miei dubbi mi portarono a pensare che tutto questo non era giusto.
Lo pensai quel giorno che mi ritrovai...


...in mezzo ad un campo con uno come me.
Avevano recintato una piccola porzione di terra e ci facevano entrare a due a due. Ne usciva quasi sempre uno solo. A volte nessuno.
Ho fame, sonno e mi dolgono le membra. Eppure non posso riposare. Non ne ho il permesso.
Mi trovo con uno come me in questo recinto e mi dicono "Ammazzalo e potrai uscire, altrimenti ammazziamo tutti e due.".
L'altro mi guarda e nei suoi occhi vedo che è come me. E' stanco, sta male e più di tutto ha paura.
Ci pensa per diversi minuti e rimaniamo a guardarci come pietrificati, non sapendo cosa fare.
Scoppia una scarica di mitragliatrice verso il cielo ed io sussulto girandomi verso il rumore. Per l'altro l'udire l'arma è come una frustata e spinto dal terrore corre nella mia direzione.

Mi si getta addosso di peso e mi stringe le mani sporche e ferite intorno al collo.
Nei suoi occhi c'è il terrore e dalla sua bocca esce della bava. E' in preda ad un frenesia che gli oscura il raziocinio.
Tutt'intorno le risa ovattate delle persone.
Il peso dell'altro è su di me e l'aria mi viene a mancare, ma non reagisco subito.
D'un tratto sento distintamente l'ordine "UCCIDILO!" e pensando che sia rivolto verso di me mi libero dalla debole presa dell'uomo con facilità e con un paio di colpi lo getto a terra da un lato.
Gli salgo sopra e ho ribaltato la situazione, ma io non lo strangolo e invece lo tengo fermo.

Le voci tutt'intorno smettono e sento un intenso bruciore sulla schiena: quando mi volto trovo un soldato con una frusta in una mano e una spranga di metallo nell'altra.
"Usa questa." mi dice lanciandomi il ferro e le delle fragorose risa gli scoppiano alle spalle.
Afferro il pezzo di ferro e lo stringo tra le mani, guardando quello come me sdraiato sotto il mio peso. Anche lui mi guarda, con le lacrime agli occhi. Muove la testa lentamente facendo segno di no.
Un altra frustata mi ferisce in volto e senza bisogno di altre parole, meccanicamente, inizio a colpire il cranio del condannato a terra, usando il pezzo di metallo.

Continuo a colpire e il cranio si deforma e si spacca.
Continuo a colpire e mi sporco del suo sangue.
Continuo a colpire e brandelli delle sue cervella mi finiscono in faccia.
Continuo a colpire.
Continuo a colpire.
Continuo...


...a martoriare il cadavere di quell'uomo finchè non mi fecero segno di smettere.
Non posso cancellare quello sguardo nell'istante prima di essere ucciso.

Da quel giorno capii che qualcosa era sbagliato nel mio mondo.
 
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Nardu
view post Posted on 29/4/2010, 15:37




Cercai per molto tempo il giusto, ma non riuscii a trovarlo.
Devo dire che non sapevo bene nemmeno dove cercarlo.

Vissi molto a lungo, rispetto alla sorte solita di quelli come me, tanto che diventai per i miei padroni un gioco e una fonte di scommesse.
Mi trascinavano in ogni situazione suicida e in ognuno dei loro divertimenti, ma io, per mia sfortuna, sopravvivevo.
Le mie ferite guarivano velocemente e resistevo alla fatica e al dolore molto meglio degli altri come me, ma a tenermi in vita era quel senso di dovere che m'imponeva di non lasciarmi andare. Non riuscivo a suicidarmi.
Sentivo che c'era qualcosa di più e che mi spettava qualcos'altro.

Purtroppo quando scoprii la mia vera natura, all'età circa di cinquant'anni, il mio mondo e la mia situazione non cambiarono molto, e anzi, quel poco che cambiò fu in peggio.
La mia prima muta avvenne...


...in una notte di pieno inverno mentre luna in cielo splendeva alta, solo per metà.
Mi avevano trascinato in catene ad un borgo che mostrava i segni di una battaglia recente. Ne avevo visti molti così nel corso degli anni, perciò sapevo che si trattava di una "nuova conquista".
Una volta arrivati mi ritrovo in un grosso capannone dove fanno entrare gli abitanti sopravvissuti.
Sono tutti ammanettati, col capo chino e i volti rassegnati.
Mi dicono di dividere gli uomini dalle donne, i vecchi e i bambini dagli adulti.

Io eseguo nonostante l'odio che vedo negli occhi di coloro che afferro.
Ho i fucili puntati alle spalle e so che alla prima mossa sbagliata dei prigionieri non esiteranno a far fuoco sia su di loro che su di me.

Poi raggiungo una bella donna, con una bambina aggrappata alla gonnella e un uomo che le sussurra parole di conforto all'orecchio. Faccio per afferrarla e lui mi guarda in cagnesco, eppure mi lascia fare.
La bambina invece scoppia a piangere e non si vuol staccare dalla madre. Io tento con modi gentili di non farle del male, ma lei non collabora.
Un soldato mi getta quindi una pistola e mi fa segno di farla tacere.
Recupero la pistola senza obbiettare e la punto verso la fronte della bambina, ma immediatamente l'uomo incatenato si getta su di me, facendomi cadere.
Si svolge tutto in un istante e un paio di colpi di fucile partono da un ufficiale: il primo ammazza l'uomo e il secondo fa saltare la testa alla bambina.
Io mi rialzo e afferro la donna per un braccio. E' sotto shock. Ha il sangue della figlia sul vestito e il corpo del marito morto ai piedi.
Io la porto da parte insieme alle altre.

Quando l'operazione di divisione è terminata un militare di alto rango passa tra le donne scegliendo le più attraenti, che subito vengono condotte fuori dal capannone.
Intanto gli altri prigionieri vengono tenuti inchiodati ai muri sotto la minaccia delle armi.
Quando la selezione termina e l'ufficiale esce, fa segno di via libera verso i suoi sottoposti. Immediatamente un gruppo di militari, evidentemente accordato prima, inizia a spartirsi le donne rimaste e senza tatto o pudore ne abusa sotto gli occhi attoniti dei familiari.

Un moto di rabbia cresce dentro di me, accompagnato dall'impotenza.
Vedo i prigionieri presenti e leggo nei loro occhi la stessa ferocia che sento io.
E la rabbia cresce.
Subito qualcuno muove un passo e senza esitazione viene fucilato seduta stante.
E la rabbia cresce.
Le urla delle donne si levano alte mentre cercano di preservare la propria femminilità e il proprio sé più intimo.
E la rabbia cresce.
Vengono picchiate, stuprate e costrette a subire senza null'altro da fare che gridare.
E la rabbia cresce.
I bambini piangono vedendo le proprie madri così schiavizzate.
E la rabbia cresce.

Poi lo scempio si consuma e giunge al termine.
I soldati che hanno avuto "l'onore" di sfruttare quelle povere femmine si ricompongono ed escono dal capannone.
A mano a mano tutti soldati escono dal capannone e pure io vengono condotto fuori. I familiari possono riabbracciarsi nonostante l'oltraggio.
Una volta fuori la porta viene sprangata.
Degli uomini prendono delle taniche di combustibile e le spargono tutt'intorno all'edificio.

Qualche minuto dopo è l'inferno. Un inferno di fuoco e grida di sofferenza.
La rabbia cresce dentro di me, ma resto fermo ad osservare.
I soldati intorno a me ridono, fumano e scherzano tra loro.
In una casa lì a fianco una fila di belle ragazze viene fatta entrare una o due alla volta. Quando quella prima esce, un'altra entra. Intravedo dalla finestra l'ufficiale d'alto rango senza i pantaloni.
Passa il tempo e le urla piano piano svaniscono dal capannone e resta solo il crepitio delle fiamme.

Ad un tratto mi accorgo di un ragazzino che si avvicina dalla strada. Osservandolo meglio non dimostra neanche dieci anni.
E' poco vestito, sporco e infreddolito.
Mi passa abbastanza vicino da farmi notare che è bagnato, nel bel mezzo di questo freddo mortale.
Ha le mani tendenti al blu, la faccia pallida, lo sguardo vacuo e stringe tra le braccia un secchio pieno d'acqua.
Arriva in prossimità del capannone e getta sulle fiamme il liquido trasportato.

In un attimo la rabbia dentro di me, mossa da qualcosa di recondito, raggiunge il punto di rottura.
Devo cambiare le cose.
Il mio mondo non è giusto.
Il mio mondo non è questo.
"Io sono qualcos'ALTRO!"

La rabbia prende il controllo.
Il sangue ovatta qualsiasi cosa.
La rabbia mi porta a...


...fare un massacro.
Non so bene cosa accadde nell'immediato, ma sentii qualcuno parlarne in seguito. Nessuno aveva più abbandonato quel villaggio vivo, oltre a me.
Ad ogni modo mi ritrovarono e mi portarono in gabbia.

Non capii cosa mi era successo e ne fui spaventato.
I miei padroni non capirono cosa mi era successo, ma ne furono felici.
Se prima era diventano un gioco per loro, adesso ero diventano uno strumento.

Per tre secoli fui la loro arma preferita.
I miei padroni cambiavano e si alternavano, ma non cambiava il loro modo di fare e le loro richieste.
Combattei battaglie e uccisi persone.
Per tre secoli vissi nel sangue e nella prigionia.

Il mio istinto mi suggeriva che il mio mondo era ancora sbagliato.
Ma non sapevo dove cercare il mio vero mondo.
 
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Nardu
view post Posted on 29/4/2010, 16:44




Nel 1917 l'Impero Russo cadde a causa della rivoluzione bolscevica. Questo è quello che citano i libri di storia.
In realtà viverlo fu molto più caotico e terribile di quel che si pensa. Migliaia di persone furono uccise semplicemente perchè si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato, senza essere minimamente interessante agli eventi.
Eppure per tantissimi quella rivoluzione fu un enorme cambiamento.
Per me lo fu.

Da un giorno all'altro fui liberato dalla mie catene e mi ritrovai libero.
I miei padroni erano stati uccisi.
Gli zar erano stati uccisi.
Avevo in mano il mio destino per la prima volta dopo tre secoli e mezzo...e non sapevo cosa farne.

Decisi che avrei cercato il mio mondo.
Decisi che avrei cercato il giusto.
Perciò m'incamminai senza una meta precisa, ma con un scopo ben chiaro.
Fui un ramingo in cerca di pace finchè...


...mi ritrovo in una foresta che non conosco in un territorio dell'est europa.
Son passati circa trent'anni da quando ho guadagnato la libertà e ho preso più coscienza di quel che sono, e mi son convito di essere l'unico della mia specie in queste terre. Spero solo di non essere l'unico mezzolupo nel mondo.

Cammino agile nei boschi in forma Urhan, in modo da non attrarre l'attenzione di eventuali esseri umani. Anche se il mio fiuto mi dice che non ci sono umani nei paraggi.

Mi muovo verso sud, sperando di raggiungere il mare. Se riesco prenderò una nave e andrò in cerca di altri come me in terre più lontane.
Salto su una roccia quando rendo conto che qualcuno mi sta seguendo, quindi i fermo ad annusare l'aria. Il mio istinto cacciatore è ben sviluppato e ho imparato ad ascoltarlo, ma il mio fiuto lo è più sicuro e non mi tradisce mai.
Non percepisco nessun odore anomalo, perciò cerco d'ignorare il campanello d'allarme che mi suona nella testa e mi rilasso.

Mi volto di nuovo per riprendere il mio cammino e dinnanzi a me vi è un uomo.
Ha un odore strano e subito m'ispira fiducia. Non so spiegarlo, è un qualcosa che viene da dentro di me.

Mi osserva senza muoversi e, dopo un lungo silenzio, mi chiede di raccontargli la mia storia.
Io non vedo motivo per non farlo e, riacquistando la forma Hishu in tranquillità, come mi trovassi dinnanzi ad un fratello, inizio a ripensare al passato...


...fu così che iniziai questa storia che così giunge al termine.
Ora mi ritrovo davanti a te, che sai tutto di me e io non ti conosco.


Il mio nome è Senyn, Alpha del branco delle Ombre, ed è un piacere accoglierti nel nostro territorio. Posso sapere il tuo nome giovane Uratha?

Non ho mai avuto un vero nome Senyn, ma ne "rubai" uno quando fui costretto ad utilizzarne. Artemis Njemoj.
Hai parlato di un branco? Quindi non sei solo?


Esatto non sono solo. E nemmeno tu lo sei Artemis. Ora hai dei fratelli.

Dalla foresta emersero altre cinque figure. Erano state seminascoste ad osservare il proprio Alpha accogliere lo straniero ed avevano ascoltato la sua storia, rimanendone commossi.
Gli occhi del ramingo si inumidirono e prima che le lacrime iniziassero a scendere copiose fece in tempo a dire alcune parole.


Ho trovato il mio mondo allora. Ho trovato il giusto.
Io per questo vi ringrazio dal profondo del cuore, perchè anche se non vi conosco, voi siete i miei fratelli.


Guardò intensamente quei sei volti. Erano sei estranei, ma erano come lui e lo accoglievano come un fratello.
Pianse come non aveva mai fatto fino a quel momento. Per la prima volta nella sua vita Artemis pianse lacrime di gioia.


SPOILER (click to view)
Prima che qualcuno me lo chieda: sì, vi ho raccontato il mio BG che è quello che leggete qui sopra, quindi sapete tutto ciò che c'è scritto.

Se qualcuno non lo legge, vuol dire che si era distratto mentre lo raccontavo. xD


Edited by Nardu - 30/4/2010, 12:36
 
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